Mettiamo a disposizione di tutti i colleghi le osservazioni che, come Movimento della Scuola, abbiamo elaborato a commento del descrittivo con il quale è stata presentata l’indagine commissionata dal DECS al DFA-SUPSI intitolata “A scuola in Ticino durante la pandemia di COVID-19: uno studio esplorativo nelle scuole dell’obbligo”.

Premessa

L’iniziativa del DECS ci sembra assolutamente condivisibile. Raccogliere degli elementi di informazione per un primo, forzatamente molto sommario, bilancio su questi mesi che hanno stravolto la nostra quotidianità e il regolare funzionamento degli istituti scolastici è non solo interessante, ma anche doveroso. C’è da chiedersi semmai perché il Dipartimento abbia aspettato tanto prima di avviare l’indagine.

Alcuni punti critici

1. Ci pare interessante, e anche apprezzabile, il fatto che l’indagine conoscitiva sia stata affidata al DFA (e non specificamente al CIRSE, come si sarebbe potuto credere). Questo aspetto sottolinea una responsabilità condivisa (di “gruppo interdisciplinare”) che ne evidenzia l’importanza e la necessità di garantire un’ampia condivisione consultiva già “nella fase di organizzazione del progetto e di elaborazione dei questionari”. Su questo proposito tuttavia (vale a dire su come si possa effettivamente realizzare un’indagine condivisa in tempi strettissimi) ci sentiamo di avanzare qualche perplessità.

2. Il progetto è una dichiarazione d’intenti tanto ambiziosa da apparire poco credibile sul piano del rigore scientifico, soprattutto quando l’indagine è svolta su un arco temporale così ristretto. L’ambizione non è solo scientifica ma anche di politica scolastica: si noti subito l’affermazione contenuta nella premessa del descrittivo: “I risultati dell’indagine permetteranno al DECS di basare le proprie strategie e il proprio agire nel prossimo futuro sulla base di un’evidenza scientifica.” Siccome le parole hanno un senso, e vanno ben ponderate, sembra di potervi cogliere un tentativo annunciato di legittimazione (molto probabilmente a posteriori, visto che in buona parte le decisioni dovranno essere prese prima della conclusione dell’indagine).

3. In un calendario serratissimo (già indicato fin nei minimi dettagli temporali), una volta raccolti i dati e analizzati sul piano statistico (“evidenza”), quanto tempo ci sarà per concertare degli scenari didattici per settembre? Chi lo farà? Ovviamente questa domanda non è da rivolgere al DFA e propriamente non è neppure pertinente rispetto al progetto che ci è sottoposto. Tuttavia il chiaro riferimento all’uso che dell’indagine potrà essere fatto autorizza a porla.

4. Una curiosa spia linguistica è rappresentata dalla formulazione della frase seguente “Entro il 17 luglio 2020 sarà prodotto un rapporto interno intermedio all’interesse del DECS”. Di primo acchito si potrebbe pensare ad un lapsus linguae o lapsus calami che dir si voglia,poiché l’espressione consueta, usata nei documenti ufficiali, è sempre stata quella del “rapporto all’attenzione di…”, o eventualmente (assai più raro) “all’intenzione di…”, cioè destinato a qualcuno. È invece nuovo, linguisticamente e concettualmente parlando, questo riferimento “all’interesse” che può apparire equivoco e far pensare, involontariamente, a un rapporto che intende fare l’interesse di qualcuno.

5. Ci si può chiedere inoltre come possano essere attendibili dei dati che, quando ci riferiamo all’esperienza “mista” (di didattica in presenza e didattica a distanza) portata avanti nelle ultime sei settimane dell’anno dalle sedi di scuola media, si riferiranno a realtà estremamente composite e tra loro anche molto distanti. Sappiamo infatti che l’autonomia lasciata alle direzioni dei 36 istituti (+ 3 sottosedi) ha dato luogo a formule disomogenee. Insomma, il terreno d’indagine è variegato e sfuggente, frutto da un lato di scelte individuali (gli insegnanti si sono inventati una didattica a distanza), dall’altro di soluzioni particolari a ciascun istituto scolastico. Ci sono sedi dove gli allievi seguono lezioni in presenza per un paio di mezze giornate settimanali, altre per due giorni, altre con occupazioni ancora diverse; sedi che hanno fatto le scelte più diverse rispetto alle  materie insegnate; sedi nelle quali gli insegnanti che lavorano in presenza non hanno più compiti di didattica a distanza, altre nelle quali, per alcune materie, si lavora sia in presenza che a distanza, e così via.

L’indagine relativa a questa dimensione mista del lavoro didattico è invero assai importante se non determinante: è infatti prevedibile che il rientro a scuola di settembre possa essere organizzato per metà classi e a orari alternati, dunque con l’esigenza di costruire un nuovo approccio didattico “misto” che ruoti attorno a questo modello. Bisognerebbe essere prudenti: sarebbe improprio farlo affermando che ci si baserà su di un’evidenza scientifica.

6. Si osservino poi due altre cose.

  • Nel descrittivo si sottolinea a più riprese un riferimento onnicomprensivo a “tutti” (cito: “un’indagine presso tutti gli allievi, i genitori (o altre persone adulte che hanno accompagnato gli allievi in questo percorso), i docenti, gli operatori scolastici, le direzioni e i quadri scolastici della scuola dell’obbligo ticinese, per raccogliere i vissuti, le esperienze, le difficoltà e i bisogni emersi durante la fase di scuola a distanza e durante la fase di scuola parzialmente in presenza (periodo marzo-giugno 2020)” e ancora: questionari rivolti a tutti i soggetti coinvolti”. L’intenzione è certamente lodevole, ma, sempre in rapporto al limitatissimo tempo in cui si svolgerà l’indagine, ci si potrebbe chiedere se poi la mole dei dati raccolti non corra il rischio di assorbire troppe energie, di appesantire le procedure valutative e, soprattutto, di sottovalutare la dimensione interpretativa dei dati stessi.
  • Sono 18 gli interlocutori indicati nell’elenco a p. 3 del descrittivo. È certamente un elenco esaustivo. Citiamo dal testo: “Il progetto prevede la consultazione regolare, in particolare nella fase di organizzazione del progetto e di elaborazione dei questionari…”. L’intenzione è ammirevole, ma teniamo conto che il sondaggio sarà distribuito, secondo calendario, il 2 giugno [vale a dire a una settimana dalla diffusione del descrittivo]. Se le parole utilizzate (“consultazione regolare” già “nella fase di organizzazione … e di elaborazione dei questionari”) hanno un peso, allora ci si chiede come sarà possibile essere conseguenti e sorge legittimamente più di un dubbio sul fatto che l’intenzione possa essere mantenuta.

7. Prendiamo in considerazione gli obiettivi.

  • Un’espressione che vi ricorre è la seguente: “identificare buone pratiche” (è formulazione che si ritrova poi ancora un paio di volte nel descrittivo). Al di là del significato stesso di “buona pratica” che si è a tal punto diffuso nella neolingua pedagogica (ivi trasposto dai contesti aziendali) da smarrire buona parte del suo bagaglio semantico (quasi bastasse la qualifica di “buona” a impressionare il destinatario), la locuzione diventa rischiosa (e fors’anche inopportuna) se utilizzata in un contesto che ha la pretesa di gettare basi su “evidenza scientifica”. In altre parole: Chi e come si definisce il criterio di apprezzamento della “pratica”? “Buona” perché i genitori l’hanno apprezzata? Perché ha dato buoni risultati (misurati come?)? E poi: risultati in termini di apprendimento? Di relazione? Di vissuto? “Buona” perché gli allievi (mediamente) si sono trovati a proprio agio? Perché è risultata inclusiva? Perché è stata molto impiegata dai docenti? Perché è stata suggerita dagli esperti? Perché corrisponde almeno a, mettiamo, 3 dei criteri sopra espressi?
  • Nell’indicazione dei tre obiettivi è evidente, proprio nella formulazione del secondo, che ciò che tocca le tecnologie sembra avere uno statuto particolare (ovviamente legittimo), quasi fosse staccato dal primo relativo alle “pratiche didattiche”, quando invece vi rientrerebbe a pieno titolo se assumessimo come punto di vista prioritario quello della prospettiva pedagogico-didattica (che ci pare essenziale per la scuola). D’altra parte si noti come questo aspetto dell’indagine è già chiaramente profilato nei termini di una prospettiva di formazione degli insegnanti (prospettiva che, a dire il vero dovrebbe pure emergere dal quadro delineato al punto 1). Ci pare essere, questa, una scelta che merita attenzione.

8. Nell’elenco dei soggetti interessati dall’indagine (“docenti, operatori scolastici, allievi, genitori, direzioni e quadri scolastici”) non si menzionano, almeno non in una forma esplicita, esperti e consulenti didattici della scuola dell’obbligo. Di certo questi possono rientrare nella categoria “quadri scolastici”, ma si dovrebbe tenere in debito conto che proprio esperti e consulenti hanno, istituzionalmente, il mandato di fornire consulenza, supporto e vigilanza su tutti gli aspetti pedagogico-didattici dell’insegnamento. Sono loro che in questi mesi sono stati vicini ai docenti, li hanno consigliati, hanno loro inviato delle indicazioni sia per la didattica a distanza, sia per l’attuale fase “mista”.

9. Infine, una scorsa alla lista dei responsabili coinvolti fa apparire la prevalenza (pur motivata dalle competenze e dalle esperienze indicate minuziosamente per ciascuno di loro) di comprovati metodologi della ricerca. Poco rappresentata l’area dell’umanesimo pedagogico e curiosa l’assenza di qualsiasi profilo antropologico o storico o di italianista. Quando ci si riferisce ai quadri epistemologici degli studi e della formazione appaiono statistici, matematici, geografi e urbanisti, traduttrici; e poi gli ambiti della tecnologia, della comunicazione e dell’organizzazione socio-amministrativa. Di sicuro tutte le persone attestano ottime doti metodologiche, ma ci potremmo chiedere se non si poteva trovare posto anche per qualcuno che avesse un curricolo solido e nel contempo fosse in grado di portare la sensibilità di chi le aule scolastiche le frequenta tutti i giorni.

Fabio Camponovo

(per il Movimento della Scuola)