La partecipazione del corpo docenti alle discussioni concernenti le politiche scolastiche ha spesso, nel passato, caratterizzato nel nostro Cantone il dibattito pubblico sulla scuola. Negli ultimi anni però la voce degli insegnanti ha sempre più faticato ad essere valorizzata.
Lo scorso 19 febbraio, in occasione dell’ultima assemblea ordinaria del Movimento della Scuola, è stata approvata su questo tema la risoluzione che riportiamo.
Ridare voce all’insegnante!
Nel corso degli ultimi anni si è andato progressivamente ampliando lo iato che perniciosamente separa il dibattito sulle politiche scolastiche dal vissuto professionale di chi fa scuola dentro le aule e negli istituti. Sulla voce degli insegnanti e dei loro organi di rappresentanza, sul loro apporto propositivo, a volte critico, sembra essere stata posta una sordina, quasi si trattasse di un fastidioso impiccio e non di un indispensabile contributo riflessivo.
Riforme e progetti innovativi sono perlopiù elaborati in separata sede e decisi in maniera verticistica; i compromessi operativi sono frutto di equilibri politici e partitici trovati in parlamento senza che il dibattito pedagogico-culturale sia realmente partecipato dagli insegnanti stessi. Così è stato per il progetto denominato “La scuola che verrà”, per la revisione della griglia oraria dei licei, per l’implementazione e la revisione del nuovo Piano di studi della scuola dell’obbligo, per i profili di formazione degli insegnanti, ecc.
L’atteggiamento di chiusura è percepibile anche nell’ostinata (e incomprensibile) campagna di delegittimazione delle associazioni magistrali condotta dai vertici del Dipartimento.
A farne le spese è la scuola nel suo complesso. L’estraneazione degli insegnanti dalle politiche scolastiche ha conseguenze esiziali: è mortificata la matrice intellettuale e progettuale della professione, l’insegnamento è progressivamente privato di autorevolezza e prestigio sociale, l’autonomia didattica è piegata a mera operatività.
Proprio quando il compito educativo (e il suo statuto istituzionale) necessiterebbe di un rinnovato afflato culturale, le risposte dipartimentali tendono a confinare l’insegnante in una dimensione prettamente didattico-operativa. La dignità dell’impegno formativo esige che all’insegnante venga restituita una voce autorevole, legata al ruolo pedagogico, intellettuale e culturale richiesto alla sua funzione educativa. Ne va della qualità della scuola e della fondamentale funzione critica che i maestri assumono in una società democratica.
Per invertire la rotta è necessario (e davvero nell’interesse di tutti), che gli insegnanti, i loro collegi, le loro associazioni, i loro sindacati possano avere parte attiva nel dibattito relativo a
- gli investimenti nella scuola previsti a partire dall’anno 2020/21;
- le condizioni di lavoro degli insegnanti;
- la qualità e le modalità della formazione iniziale offerta dal DFA;
- la diminuita attrattiva della professione docente (e le misure previste per contrastarla);
- la revisione del Piano di studio della scuola dell’obbligo ticinese;
- la riscrittura della griglia oraria dei licei;
- l’annosa questione dell’identità professionale dell’insegnante.
Il DECS (e anche la politica) dia risposte concrete a queste esigenze, si apra al confronto, comprenda finalmente che la qualità di ogni impegno formativo passa dalla dignità riconosciuta ai maestri.