In un momento storico caratterizzato dalla ricchezza di proposte e di nuove visioni relative al futuro della scuola ticinese, il Plenum docenti della Scuola media di Barbengo prende atto con favore dell’esteso e necessario dibattito che i progetti elaborati stanno suscitando presso l’opinione pubblica e saluta favorevolmente l’apertura ad una consultazione (i cui tempi appaiono comunque eccessivamente ristretti) presso il corpo docente. Se, come spesso viene ribadito, il successo di una buona scuola dipende in gran parte dalla qualità dei suoi insegnanti, ci pare d’altronde doveroso che essi vengano non soltanto consultati a posteriori, bensì attivamente coinvolti anche nel processo di ideazione, elaborazione e stesura di documenti che li riguardano direttamente, i cui effetti ricadono cioè sulla loro attività quotidiana nelle classi e nelle sedi. In una fase così decisiva per lo sviluppo della nostra scuola e della nostra professione, esprimiamo perciò il desiderio di poter agire nel merito e di non essere costretti nella posizione di poter unicamente re-agire a decisioni e direttive elaborate da persone che non necessariamente conoscono la professione nella sua declinazione più pratica e concreta. Una collaborazione maggiore tra tutti gli attori coinvolti, a vario titolo, nel mondo della scuola, permetterebbe, a nostro avviso, di raggiungere una vera, e quanto mai necessaria, condivisione degli importanti progetti di riforma su cui si sta operando.
A questo proposito, per quanto riguarda il Profilo in oggetto, ci si rammarica innanzitutto della sua natura adespota. Sarebbe infatti stato senz’altro opportuno, dato il rapporto di fiducia che si intende coltivare tra Dipartimento e docenti, indicare in maniera più chiara la composizione del gruppo di lavoro che si è occupato dell’elaborazione del documento. Se dovesse corrispondere al vero, come da più parti si dichiara, l’informazione secondo la quale nessun docente in attività è stato chiamato a partecipare al detto gruppo operativo, ci troveremmo di fronte ad un evidente paradosso, che renderebbe ancora più manifesta l’intenzione di ridurre la professionalità dell’insegnante ad una mera e svilente funzione impiegatizia, in quanto esecutore – controllato e valutato – di direttive e di ordini da altri e altrove stabiliti.
Verso questa direzione, ci sembra del resto che viaggi il documento in analisi, anche dal punto di vista della sua impostazione generale, nella quale non si è potuto evitare di rilevare in primis una forte e contraddittoria ambiguità in merito ai suoi destinatari e alle sue finalità. Esso, nelle sue intenzioni, dovrebbe infatti costituire uno strumento di lavoro in grado di aiutare l’insegnante nella sua pratica autoriflessiva, delineando quegli atteggiamenti e quelle capacità verso cui la sua attività professionale dovrebbe “idealmente tendere” (p.2). Muovendo da tale auspicio, mal si comprende come il testo medesimo, data appunto la sua dichiarata natura teorica e puramente orientativa (è infatti impensabile che un insegnante possa raggiungere la piena padronanza di tutte le cento (!) abilità indicate), possa allo stesso tempo rivolgersi anche a persone estranee all’attività didattica (“politici, genitori e cittadini interessati alla scuola e al ruolo dell’insegnante” p.2) e come esso possa addirittura guadagnare carattere ufficiale e normativo, facendosi mezzo di sussidio in grado di guidare “l’ammissione dei candidati” (p. 2) al DFA e allo IUFFP, nonché strumento “di vigilanza” (p. 2) per direttori ed esperti. Indirizzandosi ad un pubblico dalle così variegate funzioni, il Profilo non solo non centra certo lo scopo di aiutare il docente nel suo lavoro rafforzandone al contempo l’ “immagine sociale” (p.2), ma, anzi, rischia di rappresentare, data la natura sterminata e ipertrofica della lista di capacità richieste, un facile e pericoloso strumento di controllo, un comodo appoggio cui potrebbe attingere chi, arbitrariamente, volesse manifestare la propria insoddisfazione su questo o quell’aspetto della professionalità dell’insegnante.
Lo scarto tra la considerazione – del resto sancita all’art. 46 della Legge della scuola – del docente come persona di cultura, esperta della sua materia, e perciò dotata di una certa libertà ed autonomia progettuale nella continua analisi e rivalutazione delle contingenze concrete in cui si trova ad operare, e l’immagine di un professionista chiamato invece semplicemente ad attuare un mansionario di prescrizioni perlopiù ideali e astratte, appare evidente anche nelle scelte stilistiche e linguistiche che stanno alla base del Profilo. Si ritiene in effetti inopportuna la decisione di presentarne i contenuti sotto forma di elenco e, così facendo, di conferire al testo una patina fortemente normativa. Allo stesso modo, anche la matrice linguistica rivela un carattere tutt’altro che conforme alla dichiarata e succitata “idealità” cui il Profilo stesso si prefigge di mirare. La lingua italiana è pienamente in grado di rappresentare le tonalità e le intenzioni di un particolare discorso: l’uso costante del modo verbale imperativo, largamente predominante nel documento, ci pare che mal si concili con i detti propositi.
Oltre all’impalcatura metodologica e linguistica del documento, poco condivisibili ci appaiono altri aspetti che riguardano maggiormente il merito di quanto enunciato.
Si è da più parti evidenziato, in particolare negli ultimi anni, l’aumento dei mandati educativi e del carico di lavoro che grava sulle spalle dei docenti, incrementatosi anche, e soprattutto, a causa delle sempre più onerose richieste provenienti dall’esterno (famiglie, istituzioni politiche, mondo professionale). Ora, l’occasione della stesura di un Profilo che volesse realmente rappresentare un aiuto per l’attività quotidiana dell’insegnante, sarebbe stata da cogliere anche, e soprattutto, per delimitare il campo e per stabilire quali dovessero essere le reali priorità insite nella professione e le caratteristiche davvero essenziali e costitutive del ruolo e della professionalità del docente. A questo proposito, constatiamo come il documento in analisi non soltanto non circoscriva affatto il raggio di competenze, ma come anzi esso attribuisca all’insegnante compiti a nostro avviso del tutto estranei al suo ruolo e alla sua formazione (“assiste l’allievo e si prende cura di lui in funzione della sua integrità fisica, psichica, morale” p. 8).
Oltre a ciò, il testo pare relegare in una posizione eccessivamente secondaria e subordinata ad altre facoltà quella che a nostro avviso dovrebbe essere la caratteristica fondante e centrale del ruolo, ossia lo stretto rapporto con la dimensione intrinsecamente culturale e disciplinare dell’attività scolastica. È infatti soprattutto nel quadro epistemologico e concettuale della materia d’insegnamento, di cui egli è esperto e sulla quale ha investito gran parte della propria formazione, che il docente dovrebbe esercitare la propria responsabilità deontologica, trovare una guida, un supporto e una finalità alla sua azione quotidiana. Del resto, proprio nel rapporto finale stilato nel 2007 dal Gruppo di lavoro istituito dal DECS e chiamato a riflettere sull’identità professionale del docente (tale rapporto è, paradossalmente, citato anche a p. 3 come riferimento per la stesura del Profilo), si legge che per potere svolgere al meglio il suo lavoro, il docente dovrebbe essere pienamente consapevole “della centralità della cultura, della profondità del suo sapere disciplinare, della costanza con cui lo aggiorna, dello studio come elemento centrale della professione”. Il docente, conclude il documento stesso, sarebbe perciò soprattutto un “professionista dotato di una solida preparazione specifica e di un’elevata autonomia progettuale e operativa”.
Di queste ultime considerazioni, secondo noi del tutto condivisibili, il Profilo conserva purtroppo soltanto una minima traccia. Si veda, per esempio, la vaga e retorica affermazione secondo cui il docente “ama la cultura” (p. 5). Per il resto, si evidenzia invece a più riprese come presso il corpo docente sarebbe necessaria una “nuova concettualizzazione delle conoscenze e competenze-chiave” (p. 3) in modo che “essa sia congruente con gli sviluppi delle scienze dell’educazione” (p. 3). E ancora come l’insegnante, il quale sarebbe pure chiamato a “testimoniare con la propria azione” (p. 8) la sua coerenza con un imprecisato “modello etico di riferimento”, “deve essere pronto a rimettere in discussione in modo anche profondo alcuni concetti, modelli e convinzioni di fondo, alla luce dei risultati della ricerca condotta nell’ambito delle scienze dell’educazione” (p. 8), così che egli possa addirittura “disimparare quando è necessario” (p.11), per meglio “assimilare in modo adeguato i cambiamenti necessari per un esercizio attualizzato della professione” (p. 11).
A questo proposito, senza mettere in discussione la necessità che l’insegnante possieda, oltre a delle solide e profonde (e non solo “adeguate” come si dice a p. 9 del Profilo) conoscenze disciplinari, anche una buona formazione pedagogico-didattica, vorremmo sottolineare come le “scienze dell’educazione”, più volte indicate all’interno del Profilo come imprescindibile bussola chiamata a guidare l’azione didattica e la pratica autoriflessiva del docente, in quanto scienze umane non abbiano l’ambizione di determinare in maniera esatta e dogmatica che cosa sia “giusto” e “buono” nel contesto di una relazione educativa. All’interno della disciplina stessa, come è giusto e normale che sia, esiste infatti un vivace dibattito nel quale è possibile riscontrare posizioni anche diametralmente opposte tra loro e mutevoli nel tempo. Le scienze dell’educazione costituiscono dunque senza dubbio un orizzonte interessante, con il quale il docente è chiamato a confrontarsi con curiosità nelle diverse fasi del suo percorso professionale, ma senza che egli sia costretto ad accettare e ad “assimilare” in maniera del tutto acritica e passiva qualunque novità gli venga proposta. Se dunque il profilo si premura opportunamente di rendere consapevole l’insegnante sul fatto che il “proprio sapere è comunque limitato” (p. 11), noi vorremmo ricordare che tale è pure quello degli scienziati dell’educazione e auspichiamo che i docenti, in quanto persone di cultura, dotate di buon senso e di quello spirito critico che il Profilo stesso raccomanda di trasmettere anche agli allievi (p. 11), possano conservare flessibilità, libertà e autonomia di giudizio in merito alle innovazioni da apportare o meno alle proprie pratiche. Siamo in effetti dell’avviso che il cambiamento non sia un valore necessariamente e intrinsecamente positivo, ma che anche le “magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria vadano valutate alla luce delle necessità disciplinari e del contesto in cui si opera.
Discutibile ci appare anche la considerazione secondo cui gli insegnanti dovrebbero essere “in grado di condurre ogni allievo e ogni persona in formazione a conseguire almeno degli obiettivi minimi rispetto alle tematiche dei piani di studio e di formazione” (p. 10). Tale affermazione prefigura la visione di una scuola non più come istituzione, bensì come “azienda” in grado di fornire “servizi” per mezzo dei docenti, e non considera la complessa pluralità di fattori che entrano in gioco nel processo di apprendimento di un dato allievo. Ci parrebbe invece molto più corretto esprimere l’idea di un insegnante chiamato a fare del suo meglio per portare lo studente almeno al raggiungimento degli obiettivi minimi, senza essere considerato unico responsabile in caso di insuccesso scolastico.
Infine, segnaliamo con preoccupazione il rischio che un documento come quello in analisi possa ulteriormente ridurre l’attrattività della professione. Pensiamo in particolar modo ai giovani docenti che, comprensibilmente, posti di fronte ad una tale pletora di doveri e mansioni, potrebbero smarrire quella motivazione che il Profilo stesso (p. 5) indica come condizione fondamentale per l’esercizio del nostro splendido lavoro. Infine, riteniamo che proprio i nuovi docenti meritino, nelle prime, intense ed impegnative fasi della loro carriera, di poter essere seguiti ed accompagnati da altri insegnanti che, di loro spontanea volontà e consapevoli della delicatezza e dell’alto valore del loro compito, mettano a disposizione la propria esperienza a favore degli ultimi arrivati. Proprio la spinta motivazionale dovrebbe costituire del resto il requisito fondamentale di questi insegnanti-accompagnatori, eppure, paradossalmente, proprio nell’ambito in cui forse più ci si aspetterebbe di trovare un chiaro riferimento alla volontarietà di questa essenziale attività di aiuto e di supervisione, il Profilo si rivela estremamente direttivo e categorico, laddove afferma che il docente “accetta delle attività di accompagnamento di docenti in formazione iniziale e/o nelle prime fasi di introduzione alla professione.” (p.13). Ci pare quasi scontato sottolineare come un accompagnamento svolto senza la necessaria convinzione e , appunto, senza la giusta “motivazione”, possa rivelarsi inutile se non addirittura controproducente per chi muove i primi passi nel mondo della scuola. Per questa ragione non possiamo condividere tale direttiva.
In conclusione, il Plenum della Scuola media di Barbengo ritiene che il testo presentato, anche a causa di una certa genericità imposta dalla volontà – anch’essa discutibile – di produrre un unico profilo per tutti gli ordini scolastici, non raggiunga gli obiettivi prefissati. Si auspica dunque che il documento venga ritirato ed eventualmente riscritto tenendo conto delle osservazioni sopraesposte. In particolare, si chiede:
- che i docenti vengano maggiormente coinvolti nella stesura di documenti che riguardano la loro stessa professionalità;
- che si sciolga l’ambiguità in merito agli scopi e ai destinatari del Profilo;
- che il nuovo documento si presenti in una forma testuale diversa – più breve e dialettica – e con uno stile linguistico meno perentorio e definitorio;
- che nel nuovo documento si attribuisca al sapere disciplinare e alla dimensione culturale del lavoro del docente la centralità che spetta loro;
- che si riconosca all’insegnante un maggior grado di autonomia nelle proprie scelte didattiche e nel rapporto nei confronti delle scienze dell’educazione;
- che non ci si limiti unicamente ad elencare i doveri degli insegnanti, ma che si richiamino anche le responsabilità degli altri attori scolastici (autorità politiche, famiglie, mondo del lavoro, società civile in genere, ecc…) nei confronti dei docenti stessi.