Riportiamo di seguito il breve documento che, inizialmente elaborato in vista della giornata di studio organizzata dalla rivista Verifiche, è stato sottoposto al confronto in occasione dell’assemblea ordinaria del Movimento della Scuola lo scorso 19 febbraio.
Alla fine della discussione si è deciso di dotare la nostra associazione di una nuova struttura, un “coordinamento cantonale delle scuole”, che – riunito 3-4 volte l’anno – possa garantire al lavoro e alla riflessione maggiore continuità.
Il “coordinamento cantonale” verrà convocato nelle prossime settimane, superata l’emergenza “coronavirus”, con l’obiettivo di individuare, tra quelli suggeriti nel documento, uno o due assi attorno a cui costruire in primavera l’iniziativa del Movimento della Scuola.
L’associazionismo magistrale è morto: lunga vita all’associazionismo magistrale!
La stagione dell’associazionismo magistrale si è conclusa?
1. Quali le ragioni della crisi?
Le ragioni che spiegano le difficoltà che vive oggi chi si propone di organizzare e di dar voce agli insegnanti sono numerose, complesse, di natura diversa.
Vi proponiamo in forma sintetica – quasi per titoli – tre possibili risposte alla domanda “quali le ragioni della crisi?”. Esse fanno riferimento a dinamiche che sicuramente non si escludono l’una con l’altra (anzi, che probabilmente si alimentano vicendevolmente); d’altra parte non necessariamente esse sono sufficienti a dare una risposta esauriente.
- Rispetto alla stagione che ha visto la nascita e lo sviluppo dell’associazionismo magistrale in Ticino, è mutato in profondità il contesto sociale e politico: le forme novecentesche della socializzazione politico-sindacale, delle quali nel mondo della scuola l’associazionismo magistrale è stato in qualche modo espressione, sono entrate in crisi, travolte dall’affermarsi di quella che qualcuno ha definito la “società liquida”, dall’indebolimento cioè delle tradizionali istituzioni di riproduzione sociale (la famiglia, i partiti, i sindacati, la Chiesa, ecc.) e dal conseguente affievolirsi – in ogni ambito della società – della capacità di tessere legami di solidarietà tra pari. In questo quadro, non sono certo solo gli insegnanti a vedere ridotta la propria capacità di organizzarsi collettivamente, di riconoscersi reciprocamente, di dar forma alle proprie istanze e alle proprie rivendicazioni.
- Negli ultimi due decenni si è assistito a importanti e decisive trasformazioni delle istituzioni scolastiche, delle loro finalità (della loro missione) e delle loro pratiche. Le peculiarità dei sistemi educativi nazionali (e, nel nostro caso, cantonali) si sono ridotte sotto l’incalzare delle pressioni tese a uniformare i sistemi educativi secondo un unico, pur articolato, modello: organismi come l’OCSE, la Commissione europea, la CDPE si sono fatti portatori, nelle rispettive ‘sfere d’influenza’, di indicazioni di politica scolastica molto simili tra loro. L’orizzonte entro il quale si articola il dibattito riguardante le riforme scolastiche risulta conseguentemente ridotto: sempre più di frequente è considerato scarsamente credibile, talvolta illegittimo, il punto di vista di chi esprime perplessità nei confronti del modello dominante (ciò vale – solo per fare qualche esempio – per la critica alla centralità paradigmatica assegnata ormai ovunque alle “competenze”, per la denuncia della strisciante modellizzazione didattica imposta dall’alto, per lo scetticismo che si esprime nei confronti delle sempre più pervasive nuove forme di valutazione, ecc.).
- In questo quadro si assiste all’emergere di una nuova figura di docente, aspetto sicuramente favorito dall’importante ricambio generazionale che il corpo docenti in Ticino ha vissuto negli ultimi due decenni. L’insegnante del XXI secolo opera in condizioni di lavoro per molti versi peggiori rispetto a quelle del suo predecessore (a livello di salario, di orario, di carichi di lavoro, ecc.). È sempre meno considerato (e formato) come una “persona di scuola”, una “persona di cultura”, una figura quindi dotata legittimamente di una propria autonomia decisionale e intellettuale; è visto (e formato) invece sempre di più come un “esecutore didattico”, con un profilo sempre più simile a quello del funzionario. Conseguentemente, è sempre meno coinvolto nei processi decisionali, sempre più appannaggio di ‘esperti’ esterni al corpo docenti. È inevitabile che in questa situazione egli tenda a subire un peggioramento della percezione del valore sociale della sua professione. È altresì almeno in parte spiegabile in questo quadro il fatto che si indebolisca tra gli insegnanti quella spinta all’engagement politico e culturale – tipico delle figure intellettuali – che ha alimentato nel passato l’associazionismo magistrale.
2. Idee per l’avvio di un processo costituente (per un nuovo associazionismo magistrale)
Nel prossimo periodo sarà spesso inevitabile dover “nuotare controcorrente”. Il rilancio dell’attivismo magistrale non potrà essere il frutto di ricette confezionate a tavolino, quanto piuttosto il prodotto combinato di cambiamenti sul piano generale (del clima politico e sociale), di nuove forme di mobilitazione degli insegnanti e della capacità delle organizzazioni degli insegnanti – o di quello che ne resta – di offrire una sponda credibile ai bisogni e alle richieste provenienti dal corpo docenti. Ciononostante, crediamo sia fondamentale nei prossimi anni provare a raccogliere le forze disponibili a rilanciare la prospettiva di un nuovo associazionismo magistrale, capace di cogliere le sfide dei cambiamenti intervenuti ma anche di mantenere fermi alcuni principi basilari su cui fondare un’idea di scuola e un’idea di insegnante diverse da quelle oggi prevalenti. Esponiamo qui di seguito, a quest’ultimo proposito, alcune idee, che andrebbero maggiormente articolate e probabilmente arricchite dall’aggiunta di altre.
- Difesa del carattere pubblico della scuola: centralità dello Stato nella gestione di un sistema scolastico che non abbia come obiettivo quello di far profitti, né quello di far passare particolari convinzioni pedagogiche, politiche o religiose.
- Rafforzamento dell’impronta democratica e inclusiva dell’accesso agli studi: mantenere ferma l’idea che la scuola debba essere un canale di emancipazione (individuale e sociale), capace di contribuire a trasformare la società in senso democratico ed egualitario.
- Valorizzazione della dimensione culturale della formazione delle giovani generazioni, garantendo la necessaria distanza critica tra istituzione scolastica e pressioni utilitaristiche provenienti dal contesto extrascolastico.
- Richiesta di una formazione professionale iniziale e di un sistema di aggiornamento (di formazione continua) per i docenti, che coltivi il senso critico e l’autonomia dell’insegnante, che non imponga modelli didattico-pedagogici univoci, che sia capace di valorizzare nel contempo sia la dimensione culturale, sia la dimensione pedagogico-didattica della professione.
- Rilancio dell’attrattiva della professione insegnante: per un miglioramento delle condizioni di lavoro, per la difesa dell’autonomia didattica del docente, per la valorizzazione della dimensione intellettuale del mestiere di insegnante.
- Richiesta di partecipazione attiva dei docenti alla definizione delle politiche scolastiche: per il rilancio delle pratiche collegiali a livello d’istituto e per un maggiore e più strutturato coinvolgimento dei plenum dei docenti e dei rappresentanti delle loro organizzazioni nei processi decisionali riguardanti la scuola.
- Mantenimento di spazi e strumenti (quali ad esempio una rivista) capaci di stimolare il confronto culturale tra docenti e di produrre una riflessione non estemporanea sulla scuola e le politiche scolastiche.