Pubblichiamo l’articolo di Alessandro Frigeri apparso sull’ultimo numero della rivista Verifiche, dedicato alla storia della nostra associazione.
Il 25 novembre 2004 si tenne presso l’aula magna della Scuola Cantonale di Commercio una partecipata assemblea che diede ufficialmente i natali al Movimento della Scuola. Sono passati vent’anni precisi da quel momento.
Il Movimento della Scuola, tuttora attivo, in questi ultimi mesi ha concentrato le sue forze, privo com’è di qualsivoglia forma di apparato, nello sforzo teso a mobilitare i docenti contro l’ennesima misura lesiva della dignità della scuola, i due giorni supplementari di chiusura degli istituti come contropartita dei tagli effettuati nel 2024 sul salario degli insegnanti. Di conseguenza, ancora non è stata organizzata nessuna occasione formale che celebri specificatamente l’anniversario, ma sarà indispensabile farlo nei prossimi mesi.
Ebbene, in vista di un’iniziativa apposita, può essere utile fin da subito avviare – sulle pagine di Verifiche o altrove – una riflessione, possibilmente a più voci, sul significato di questa ventennale presenza in seno al mondo della scuola ticinese. Non mi dispiace l’idea di provare a “rompere il ghiaccio” sul tema, in considerazione del fatto che da qualche mese ricopro la carica di co-presidente dell’associazione. Ciò che segue comunque – è bene precisarlo – è una riflessione del tutto personale, che vincola solo il sottoscritto. D’altronde, più che di un’analisi compiuta, il mio contributo si compone di piste di indagine possibili, di qualche domanda e di poche risposte, per giunta solo abbozzate.
Gli interrogativi di partenza in questi casi si impongono. In sede di bilancio di un’esperienza come quella del Movimento della Scuola, è inevitabile in primo luogo chiedersi quali furono i motivi che portarono alla sua costituzione; quindi, può risultare interessante porsi la domanda su come quest’associazione sia riuscita a rimanere attiva per due decenni, in un’epoca in cui fenomeni simili quasi sempre hanno vita breve ed evanescente.
La scintilla dell’aumento dell’onere orario
Come è risaputo, il Movimento della Scuola nacque sull’onda di una campagna intesa a contrastare un importante pacchetto di misure di risparmio sulla scuola contenute nel Preventivo 2004. Il provvedimento maggiormente inviso fu quello relativo all’aumento di un’ora-lezione del carico settimanale dei docenti cantonali, a parità di paga. L’indignazione fu tale da portare gli insegnanti prima a scendere in piazza e a scioperare (nella forma di una giornata di “porte aperte”) e poi a farsi promotori – dopo l’approvazione dei tagli da parte del parlamento – di alcuni referendum. Nonostante la campagna che precedette il voto fu segnata da un uso scriteriato, da parte degli avversari, dei più diffusi stereotipi sui docenti e sul loro lavoro, il 16 maggio 2004 l’aumento dell’onere lavorativo fu accettato solo di misura (con il 54,8% dei voti), mentre due dei quattro referendum proposti riuscirono a imporsi (si riuscì ad esempio a impedire la riduzione dei sussidi cantonali alle scuole comunali). La decisione di costituire il Movimento della Scuola sorse dall’esigenza di capitalizzare l’impegno profuso in quella circostanza, che agli occhi di molti dimostrò che solo organizzandosi in modo non estemporaneo era possibile far pesare la voce della scuola nel confronto pubblico.
Quanto avvenuto allora è senza dubbio una delle ragioni che spiegano l’apparizione del Movimento della Scuola sulla scena pubblica, ma da solo il riferimento a quei fatti congiunturali chiariscono poco della natura e dello sviluppo di questa associazione, così come della sua capacità di giungere fino all’oggi.
La crisi dell’associazionismo tradizionale e dei sindacati
A vent’anni di distanza, è allora necessario azzardare qualche ipotesi di lettura supplementare sul significato della nascita del Movimento della Scuola. Ci si potrebbe innanzitutto domandare: quanto la crisi delle forme della politicizzazione tipiche del Novecento – che ruotavano attorno ai partiti di massa e che dettavano le modalità di partecipazione alla vita politica in tutti gli ambiti della società – ha inciso sulla nascita di una novità come il Movimento della scuola?
Anche nel piccolo mondo della scuola ticinese all’inizio degli anni 2000 erano infatti ormai evidenti i segnali di un cambiamento profondo nel modo con cui gli insegnanti e i quadri scolastici si relazionavano alla politica (e alle politiche scolastiche in particolare). Non solo le posizioni di responsabilità in Dipartimento e nelle scuole venivano distribuite sempre meno frequentemente secondo i tradizionali criteri partitici, ma anche il ruolo assunto dalle associazioni magistrali legate alle tre principali aree politiche del Cantone – quella cattolica, quella liberale e quella socialista – non era più lo stesso. Protagoniste del dibattito attorno alle faccende scolastiche perlomeno fino agli anni ’80 del secolo scorso, all’alba del nuovo millennio esse erano senza dubbio in declino, in difficoltà nel riuscire a essere riferimento credibile agli occhi delle nuove generazioni di docenti.
Pure le organizzazioni sindacali presenti tra gli insegnanti – la VPOD legata alla sinistra e l’OCST di matrice cristiano-sociale – dovettero fare i conti con questo ordine di novità. Dotati di più risorse materiali e di qualche funzionario, non scomparvero di certo, ma reagirono alla crisi della militanza politico-sindacale (e delle iscrizioni) rafforzando il proprio profilo istituzionale: la loro ragion d’essere tese a diventare, ancor più di quanto già avveniva nei decenni precedenti, il riconoscimento da parte delle autorità della loro funzione di partner sociali; conseguentemente, i sindacati si proposero in modo sempre più evidente di puntare su pratiche di matrice consociativa più che sulla partecipazione e sulla mobilitazione degli insegnanti.
In questo quadro, ci si può azzardare a pensare che il Movimento della Scuola occupò un vuoto oggettivo: rispose forse a un bisogno di rappresentanza del mondo della scuola che altre strutture non riuscivano più a intercettare, se non in misura del tutto parziale?
La voce di una specifica generazione di docenti
Sta di fatto che, almeno nei suoi primi anni di vita, il Movimento della Scuola venne vissuto da una parte del corpo docenti del Cantone come un riferimento importante, un’organizzazione dotata dell’autorevolezza necessaria per rappresentare il mondo della scuola al di là dalle diverse appartenenze partitiche e sindacali, che peraltro con il passare del tempo erano diventate ideologicamente più sfumate.
Si potrebbe però pure supporre che tale capacità d’attrazione vada messa in relazione anche con un’altra caratteristica dell’allora nuova associazione magistrale. A guardare la lista delle persone che ne proposero la costituzione e che poi se ne fecero più o meno attive promotrici, si nota la presenza determinante di insegnanti nati negli anni del boom economico, entrati da allievi nella scuola fin dagli anni ’60 e quindi assunti dal Dipartimento della Pubblica Educazione a cavallo tra gli anni ’70 e ‘80. Si tratta di una generazione di docenti che ha vissuto i profondi mutamenti che hanno investito i sistemi scolastici nel secondo dopoguerra. Sono, in altri termini, i figli della democratizzazione degli studi: hanno approfittato dell’allargamento delle maglie dell’istruzione, diventata nel giro di pochi anni “di massa”, per avere un accesso alla cultura negato a buona parte dei loro genitori e poi, da insegnanti, si sono fatti portavoce di una concezione del ruolo della scuola e del maestro che di quel vissuto sono stati il portato. Passati per la stagione della contestazione giovanile, hanno assunto la funzione di docenti rivendicando in qualche modo il carattere politico dell’atto educativo, credendo cioè nella capacità emancipatoria dell’esperienza conoscitiva; sono cresciuti professionalmente convinti che essere insegnanti significasse, tra le altre cose, coltivare da una parte la dimensione intellettuale del mestiere e, dall’altra, partecipare in prima persona sia al dibattito sui sistemi educativi sia all’ideazione delle riforme scolastiche.
Da questo angolo di visuale, il Movimento della Scuola è allora interpretabile come lo strumento attraverso cui un certo modo di pensare alla professione docente, proprio di una specifica generazione di insegnanti, ha trovato voce?
Idee trasmesse da una generazione all’altra
Per chi, come l’autore, ha cominciato ad insegnare proprio negli anni di costituzione del Movimento della Scuola, tale associazione è sicuramente stato uno dei canali tramite cui accedere al quadro valoriale sopra appena accennato. Si cercò di acquisirlo con avidità, poiché utile per reagire alle prime avvisaglie di quelle riforme dei sistemi scolastici che intendevano superare – in sintonia con quei concetti di efficienza e di utilitarismo che ormai permeavano il contesto più generale – il modello di scuola e la tipologia d’insegnante che i colleghi e le colleghe di più lunga esperienza difendevano e nei quali ci si poteva facilmente riconoscere.
Si leggano due pubblicazioni di esponenti di quella cruciale generazione: il prezioso libricino di Fabio Pusterla “Una goccia di splendore. Riflessioni sulla scuola, nonostante tutto” (uscito in pieni anni 2000) e il volume appena edito da Casagrande, intitolato “Il mestiere dell’insegnante”, che propone parte di ciò che Fabio Camponovo ha scritto sulla scuola in questi vent’anni. Si tratta di scritti dal taglio decisamente diverso, ma entrambi i lavori sono il riflesso di quella Weltanschauung pedagogica che per un periodo forse riuscì a risultare egemone tra coloro che, indipendentemente dall’anagrafe, consideravano imprescindibile, nella costruzione della propria identità di docenti, la riflessione sul senso dell’azione educativa.
Si può immaginare dunque che il Movimento della Scuola non sia stato un fenomeno occasionale proprio in ragione della sua capacità di aggregare attorno a determinate idee sulla scuola anche coloro che docenti lo sono diventati solo dopo la temperie da cui quelle idee hanno tratto alimento?
E nel futuro?
Le attività promosse dall’associazione, supportate sovente da una riflessione di riconosciuto spessore, sono state insomma per un tempo non breve capaci di suscitare l’interesse di almeno una parte del corpo docenti cantonale (assieme, a onor del vero, alle ire e alle diffidenze delle autorità scolastiche).
Nelle ultimi anni ci si è dovuti confrontare però con questioni nuove, che hanno reso più difficile il lavoro dell’associazione. Come era inevitabile, coloro che sono stati a lungo il perno dell’associazione sono andati in pensione, tra gli insegnanti si è accelerato il ricambio generazionale e ora un peso importante nelle scuole hanno coloro che si sono formati come docenti secondo canoni decisamente lontani da quelli di vent’anni fa. In questo contesto, non mancano di farsi sentire gli effetti di quelle numerose riforme – piccole e grandi – che il Movimento della Scuola aveva a suo tempo letto con criticità anche perché, tra l’altro, rischiavano di rendere l’insegnante un mero esecutore didattico e una più fragile persona di cultura, meno portata a dare il proprio contributo alla riflessione sul senso del “fare scuola”; quest’ultima incombenza è sempre più delegata a nuove figure di quadri scolastici che in misura crescente si concepiscono come “tecnici” e che credono che il loro ruolo sia incompatibile con la partecipazione alla vita di un associazione magistrale. L’ormai pluridecennale spoliticizzazione della vita sociale continua a pesare, ma essa non ha impedito l’emergere più o meno regolare di mobilitazioni degli insegnanti, che però hanno assunto forme non necessariamenti uguali a quelle del passato, come ha dimostrato l’esperienza recente della Rete per la Difesa delle Pensioni.
Sono tutti elementi che dovranno essere nel prossimo futuro ben ponderati, se si intende continuare a “dare voce agli insegnanti”, come recita l’intestazione della newsletter inviata regolarmente a tutt’oggi dal Movimento della Scuola.