Pubblichiamo qui di seguito l’intervento che Fabio Camponovo, copresidente del Movimento della Scuola, ha tenuto in occasione della conferenza stampa organizzata durante lo sciopero al contrario che il 23 marzo scorso ha visto protagonista il corpo insegnante del cantone, che ha deciso di organizzare – in una giornata di vacanza imposta quale risarcimento per le più recenti misure di risparmio – una serie di attività in molte sedi scolastiche.

L’intero dossier stampa, comprendente anche gli interventi di Gianluca D’Ettorre (presidente OCST-docenti), Adriano Merlini (presidente VPOD-docenti), Cristiana Spinedi (docente di scuola media), CArol BErnasconi (docente di scuola dell’infanzia) e Claudia Leu (presidente dell’Assemblea genitori Monteceneri), è scaricabile qui sotto.

di Fabio Camponovo, co-presidente MdS

S’è parlato in queste settimane, a proposito dell’odierna giornata di mobilitazione, di un “disagio degli insegnanti”, ma anche di una scuola che reagisce e stupisce rifiutando il regalo di un congedo pagato.

È giusto interrogarsi su questo gesto simbolico di grande rilevanza per il nostro Cantone.

È giusto cercare di capire le ragioni di questo “disagio”, andando al di là degli stereotipi che indicano nel docente il lavoratore privilegiato o l’irresponsabile facinoroso, e nella protesta la voce di qualche sparuto gruppo di rappresentanti delle associazioni magistrali.

Il disagio che vivono oggi la scuola e l’insegnante di certo non è apparso dal nulla, non è strumentale e non è invenzione di pochi.

Abbiamo una scuola che si confronta da molti anni con una difficile realtà socio-culturale, con la necessità di ritrovare una sua solida identità formativa, schiacciata come è fra un mandato educativo sempre più complesso e l’impossibilità di farsene carico compiutamente.

Da un lato vi è il venir meno dei tradizionali centri di aggregazione e socializzazione giovanili, dall’altro un diverso rapporto con i nuclei famigliari; da un lato l’incredibile diffusione di nuove tecnologie (con conseguente diverso approccio all’informazione e alla conoscenza, fatta di un “usa e getta” frenetico, puramente funzionale), dall’altro l’esigenza di mantenere l’attenzione ben salda sullo sviluppo dei processi cognitivi e di pensiero; da un lato una responsabilità nello sviluppo di dimensioni socio-affettive, di competenze plurime (disciplinari, trasversali, tecnologiche, personali e professionali), dall’altro la necessità imprescindibile di far crescere gli allievi sul piano dello spirito critico, dell’autonomia di pensiero, del radicamento culturale e dell’intelligenza.

È una scuola, come si è detto anche in altre occasioni, a rischio di implosione. Troppe le pressioni esterne, poche le risorse e le energie disponibili.

È una scuola che certamente si sente sola, che non avverte, nel dibattito politico-istituzionale, né una consapevolezza circa i fenomeni descritti, né una particolare sensibilità risolutiva. Persino la stagione delle riforme (HarmoS, Piano di studio della scuola dell’obbligo, Scuola che verrà) non sembra offrire particolari risposte. Anzi! Gli insegnanti avvertono spesso un senso di estraneità, se non addirittura di rassegnazione, nei confronti di progetti che nascono fuori della loro diretta esperienza. A loro è chiesto di condividere e di applicare, al limite di esprimere un parere a cose fatte,  ma non di collaborare all’elaborazione concettuale delle riforme.

Non è un segreto per nessuno che alcuni principi che permeano questi progetti abbiano preso forma in altri luoghi (OCSE, UE, CDPE), con l’avallo compiacente di alcuni “scienziati dell’educazione”. È inevitabile poi che l’insegnante ticinese li percepisca (buoni o cattivi che siano, non è solo questo il punto!) come calati dall’alto e da fuori. L’insegnante avverte una distanza crescente fra i problemi che incontra nel “far scuola” e le soluzioni qualche volta farraginose che gli vengono proposte. Di fatto avverte la distanza che aumenta fra chi sta in classe e chi decide le scelte di politica scolastica.

Noi poniamo oggi di fronte all’opinione pubblica anche questa realtà. Non solo quella di un investimento nettamente insufficiente nell’istituzione scuola, ma anche quella di un insegnante che viene sempre più ridotto a mero esecutore pedagogico-didattico (significativo in questo senso è stato il progetto di “profilo professionale del docente”, rifiutato massicciamente dai docenti stessi), quella di un docente in mille faccende affaccendato ma sempre meno a contatto con lo studio, l’approfondimento scientifico e l’autonomia dell’uomo di cultura.

La giornata odierna serve anche a questo. La scuola, in un paese povero è un investimento sicuro. I cervelli sono l’unica materia prima di cui disponiamo. Gli insegnanti non chiedono privilegi. Chiedono dignità per la scuola e per il loro lavoro.