Pubblichiamo l’articolo scritto da Fabio Camponovo per l’edizione del 22 marzo della rivista online ilfederalista.ch.

 

A ben vedere qualcosa riunisce le due ultime occasioni di dibattito politico sulla scuola media: il superamento della differenziazione curricolare in matematica e tedesco (noto come “abolizione dei livelli”) e l’anticipazione dell’insegnamento del tedesco in prima. Ad avvicinare le decisioni parlamentari che ne sono conseguite è il “metodo” fatto proprio dal Gran Consiglio per affrontare questioni educative complesse; i nostri politici infatti hanno per lo più lavorato (e votato) all’insegna del motto “la politica decide il principio, la scuola trovi il modo per realizzarlo!”.

Nel primo caso era stato proprio il ministro Bertoli l’ispiratore di questo approccio. In più occasioni aveva tacciato di immobilismo chi chiedeva approfondimenti concettuali o procedurali e suggerito che se in parlamento si fosse trovato l’accordo sulla necessità di superare il sistema dei livelli, sarebbe poi stato compito della scuola sperimentare una soluzione tecnica per realizzarlo. Nel secondo caso ne è rimasto vittima. Forse così accade quando si pensa che per proporre riforme nella scuola abbiano più importanza le maggioranze parlamentari del coinvolgimento del mondo scolastico. E a dire il vero né nella testa dei politici né, purtroppo, in quella della direzione del DECS è mai stata contemplata l’idea che gli insegnanti potessero (dovessero) essere associati alla riflessione progettuale.

Ciò che ora importa sottolineare, con rammarico, è che in entrambe le situazioni si sono perse occasioni preziose per avvicinare criticamente il tema di fondo, quello del senso ultimo dell’obbligo scolastico. Un tema di grande attualità, addirittura cruciale per uno Stato democratico che fa della scuola “un’istituzione educativa al servizio della persona e della società” (cfr. art. 1 della nostra Legge della Scuola). Per legge quindi una scuola fondata su una matrice umanistico-culturale (si legga anche l’art. 2 della LSc), incaricata di trasmettere alle future generazioni un bagaglio identitario di esperienze intellettive; una scuola che pone al centro del suo mandato la dignità della persona. Questo significa, in parole semplici, che quando ragioniamo di griglie orarie, di insegnamenti impartiti o di mandati educativi previsti nei piani di studio dovremmo sempre mettere al centro la persona-allievo, il suo diritto di crescere in un contesto formativo che gli assicuri un bagaglio culturale di base nonché adeguati stimoli conoscitivi (perché può essere davvero ‘inclusiva’ quella scuola che sappia innanzitutto suscitare e coltivare nei giovani il gusto della conoscenza!).

Dunque sarebbe stato utile partire da questi concetti basilari sia quando si è discusso di “livelli” (e si è riconosciuto implicitamente, senza batter ciglio, un significato orientativo speciale alla matematica e al tedesco), sia quando si è preconizzato e poi deciso un potenziamento del tedesco alla scuola media. Non si tratta di quisquiglie e un dibattito politico serio (uso qui il termine ‘politico’ nel suo significato nobile), capace di collocare le proposte di riforma in una visione più ampia, sarebbe stato oltremodo utile per valutarne l’impatto. Tanto più oggi, proprio quando surrettiziamente l’istituzione educativa va assumendole sembianze di un “servizio formativo” a cui il mercato da un lato, e il cittadino che veste implicitamente i panni dell’utente/cliente dall’altro, chiedono soddisfazione ai propri innumerevoli bisogni.

È da una specola riflessiva di questa natura che sarebbe stato utile ragionare sul tedesco in prima media. Beninteso alla luce di un orizzonte antropologico-culturale che nei decenni evolve (si pensi a quanto complesso sia oggi ogni tentativo di dare forma scolastica al mandato educativo e a come stiamo placidamente scivolando in un consumismo immemore di beni materiali e immateriali).

Proviamo allora ad elencare in proposito qualche spunto riflessivo:

  1. Il Ticino, per ragioni storiche e culturali, nel nome della “coesione nazionale”, riserva molte ore all’insegnamento delle lingue nazionali (francese e tedesco) nonché alla lingua di comunicazione internazionale per eccellenza (l’inglese). La collocazione in griglia risulta particolarmente ingarbugliata, frutto più di alchimie pedagogiche e di incastri formali che di una sana prospettiva d’apprendimento linguistico: il francese dalla scuola elementare fino alla seconda media (sempre a classe intera), il tedesco dalla seconda alla quarta media (con laboratori, corsi A e B, in futuro altre forme didattiche privilegiate); l’inglese dalla terza (e in quarta con effettivi ridotti). Si tratta di un patchwork linguistico e di modalità didattiche frutto più di compromessi che di una coerente visione formativa. Di questo avremmo dovuto parlare e non di una singola, apparentemente semplice, modifica.
  2. Nulla si oppone a un potenziamento del tedesco e a una sua rivalutazione nel percorso scolastico, purché appunto l’iniziativa si inserisca in un ripensamento globale dell’insegnamento linguistico e ne salvaguardi l’intrinseco valore culturale. Non lo si riduca, come invece si è fatto in parlamento, alla pura e semplice motivazione utilitaristica. In altre parole, non si aggiungano più ore di tedesco perché ce lo chiede il “mercato”. La scuola dell’obbligo, come si è tentato di dire in precedenza, non è scuola prioritariamente funzionale al mercato del lavoro o all’inserimento professionale. Non è lecito anteporre gli interessi né delle aziende né delle accademie, che avranno invece modo di caratterizzare i curricoli nei successivi livelli di scolarizzazione (le scuole professionali da un lato e le scuole medie superiori dall’altro).
  3. La semplice anticipazione dell’insegnamento del tedesco in prima media contribuirà a frastagliare ulteriormente un contesto didattico già estremamente frammentato, e per il ragazzino che curioso si affaccia alla pluralità delle discipline di studio e alla moltiplicazione delle figure di riferimento, una materia di studio in più correrà il rischio di risultare irrilevante dal punto di vista dell’apprendimento.
  4. Infine la disponibilità di insegnanti preparati. Di certo non può essere questo un elemento dirimente, ma ci si sarebbe aspettata una visione prospettica che considerasse anche questa necessità. Come è ovvio il potenziamento del tedesco si tradurrà in un fabbisogno aumentato di insegnanti di questa lingua e sappiamo tutti, anche i politici, che già attualmente un gran numero di docenti di questa materia esercita senza avere i titoli richiesti.

Fabio Camponovo