Per discutere del messaggio governativo n. 8205 relativo al superamento dei corsi A e B della scuola media, lunedì 5 dicembre la commissione Formazione e Cultura del Gran Consiglio ha convocato in audizione alcune delle associazioni dei docenti.

Il Movimento della Scuola ha approfittato di questa occasione per ribadire le osservazioni critiche già formulate nel mese di settembre, quando il DECS decise di rendere pubblici i termini della sua proposta, ma non si è limitato a questo: ha deciso di dare voce alle perplessità che in queste settimane sono giunte numerose dalle sedi di scuola media, elaborando una sintesi delle decine e decine di pagine che gli insegnanti hanno scritto sulla cosiddetta “proposta dei direttori”. Di seguito pubblichiamo il documento.

Abbiamo ritenuto importante valorizzare le considerazioni che queste colleghe e questi colleghi hanno formulato, non solo poiché ci è parso che la questione della co-docenza (cardine attorno a cui ruota la proposta di riforma) sia da loro affrontata con serietà e competenza. Lo abbiamo fatto anche perché crediamo che sia fondamentale – lo ribadiremo fino allo sfinimento – che le autorità dipartimentali, e con esse il legislatore che si china sulle questioni scolastiche, formulino le loro proposte a partire dall’esperienza di coloro che la scuola la fanno quotidianamente. È un approccio che dovrebbe essere scontato, ma che purtroppo in questi anni è stato abbandonato: i problemi sollevati dal corpo docenti e dai quadri scolastici sono scarsamente considerati, vissuti quasi sempre con malcelato fastidio. Purtroppo non fa eccezione neppure quet’ultimo tentativo di riforma, che inizialmente è stato presentato come proveniente “dal basso”, ma che poi si è significativamente scoperto non essere stato discusso, nei suoi termini definitivi, neppure in seno all’intero collegio dei direttori!

Gli insegnanti che sollevano obiezioni a questa proposta non sono il drappello di guastatori intenzionati a distruggere il ponte che gli architetti del DECS stanno costruendo verso il futuro. Sono piuttosto i funzionari del genio civile che fanno notare ai suddetti architetti che quel ponte, così come concepito, ha delle fondamenta troppo deboli e rischia di crollare.


CONSIDERAZIONI DEI COLLEGI DI SCUOLA MEDIA E DEI GRUPPI DI MATERIA

È difficile prendere posizione sulla co-docenza come superamento dei livelli, in quanto il progetto non è ancora definito nel dettaglio e risulta poco chiaro (docente di matematica)

Il dibattito sull’abolizione dei livelli continua ad infiammare il mondo della scuola media ticinese. Il MdS ha già preso posizione[1] sulla proposta di superamento presentata dal DECS il mese di settembre. La spaccatura fra i vertici del DECS e il mondo della scuola ha continuato ad ampliarsi e lo scenario attuale non lascia vedere vie d’uscita.

Durante il mese di ottobre 2022 i presidenti dei collegi di scuola media hanno raccolto all’interno delle loro sedi delle considerazioni inerenti all’ultimo tentativo di abolire i livelli di scuola media. Tali documenti erano pensati per uso interno: dovevano infatti servire ai direttori per avere un quadro delle posizioni dei docenti, soprattutto quelli di tedesco e matematica, rispetto all’introduzione della co-docenza e portare poi le considerazioni davanti agli altri direttori e ai vertici del DECS. Alcuni di questi documenti sono anche sfociati in vere e proprie prese di posizione dell’intero collegio.

Allo scopo di far sentire la voce dei docenti all’interno di questo dibattito che, nuovamente, si svolge nelle aule della politica e non tiene in considerazione l’operato di quei professionisti che la scuola la fanno e la vivono ogni giorno, abbiamo raccolto le considerazioni che ci sono pervenute (33 documenti) e le abbiamo radunate in quella che vuole essere una risposta collettiva all’ultima manovra politica dei vertici del DECS.

Le osservazioni dei collegi e dei gruppi di materia delle sedi ticinesi che si sono espresse in proposito hanno evidenziato diverse preoccupazioni da parte del mondo dei docenti.

Le sedi che hanno preso esplicitamente posizione sono le seguenti:

  • Collegi: Agno, Canobbio, Gravesano, Lugano 2 (Besso), Massagno,
  • Gruppi di materia: Acquarossa (mate e tede), Balerna (mate e tede) Bellinzona 2 (mate e tede), Breganzona (mate), Cadenazzo (2 gruppi di materia uniti), Caslano (mate), Castione (tede), Gordola (mate e tede), Lodrino (tede), Locarno 1 (mate e tede), Losone (mate e tede), Minusio (mate e tede), Morbio Inferiore (mate e tede), Pregassona (mate e tede), Stabio (2 gruppi di materia uniti), Tesserete (mate e tede)
  • Prese di posizione individuali di due docenti di matematica.

In nessuno dei documenti si appoggia apertamente l’idea della co-docenza. Alcune delle sedi assenti da questa lista si erano già pronunciate durante lo scorso anno scolastico e hanno ritenuto inutile ribadire quanto già detto, spesso in modo articolato ed esaurientemente argomentato[2]. Forse perché lo ritenevano uno spreco di tempo, dato che già la prima volta le prese di posizione dei plenum non sono state prese in considerazione? Alcune delle criticità già messe in luce compaiono anche in questa proposta.

Molte posizioni cercano di mettere in luce i vantaggi, ma i punti critici rilevati sono i medesimi e sono ritenuti troppo problematici per procedere con la rapidità auspicata dal Dipartimento, al quale si rimprovera, innanzitutto, di aver battezzato questa riforma “proposta dei direttori” senza che nessuna iniziativa sia provenuta dal basso.

I commenti qui riassunti sono stati stesi precedentemente alla pubblicazione del messaggio 8205 del 26.10.2022. L’unico documento ufficiale consultabile da direzioni e docenti era, fino ad allora, il comunicato stampa rilasciato dal DECS il 5 settembre 2022 ed è a questo che le osservazioni raccolte facevano riferimento.

  1. SULLA DEFINIZIONE DI CO-DOCENZA

“La co-docenza è l’aspetto centrale e innovativo del modello proposto. Le esperienze finora vissute (come ad esempio il Team teaching in inglese) hanno evidenziato la potenzialità di questa metodologia di insegnamento. Accanto ad un’evidente maggiore attenzione al processo di insegnamento, i due docenti hanno l’opportunità di mettere in atto un’efficace ed efficiente didattica differenziata, permettendo alle loro allieve e ai loro allievi di apprendere la disciplina con più attenzione alle loro caratteristiche personali. La co-docenza permette pure un’estrema flessibilità didattica all’interno del gruppo classe a vantaggio del raggiungimento delle finalità del PdS.” (comunicato stampa del 5 settembre)

Il comunicato non è chiaro su quale modalità di insegnamento in coppia si voglia introdurre. Quando si parla di co-docenza è difficile comprenderne la definizione[3]: non è chiaro se si parli della variante in cui un docente è titolare e l’altro aiutante, oppure di quella in cui i due docenti si dividono equamente il carico di lavoro e la responsabilità. Potrebbe anche trattarsi di un’altra possibilità, in cui viene lasciata alla coppia di docenti la scelta su come suddividere il lavoro. Non vi sono riferimenti bibliografici in proposito, seppure l’argomento sia stato oggetto di sperimentazione anche in Italia e in Canton Ticino.

Data la complessità della metodologia, qualora la co-docenza venisse imposta a partire dal 2023 non sarebbero garantite le condizioni adatte, il tempo necessario e le risorse sufficienti per preparare nuovi percorsi didattici coerenti e funzionali secondo i nuovi Piani di Studio, che devono ancora uscire.

Il comunicato stampa fa inoltre riferimento all’esperienza del cosiddetto Team-Teaching in inglese, ma la co-docenza qui proposta viene attuata in un contesto diverso. Infatti, per quanto riguarda l’inglese, il Team-Teaching non è obbligatorio: vi è un docente titolare, mentre il secondo funge da docente di appoggio e i due docenti scelgono autonomamente di collaborare. La modalità prevista nell’insegnamento dell’inglese viene dunque costruita dal basso, mentre questa co-docenza viene imposta dall’alto. Inoltre, le classi (composte da allievi che partono da una base comune) sono ad effettivo ridotto ed è generalmente prevista un’ora di collaborazione ogni due settimane. In matematica le ore da fare in co-docenza sarebbero cinque.

Anche un paragone con la scuola dell’infanzia e la scuola elementare non ha senso. In questo caso il collega con cui ci si divide la conduzione di un’unica classe è uno solo, e si suddivide la griglia oraria in base alle materie e agli argomenti. Non si può parlare di vera e propria co-docenza.

Nella griglia oraria di un docente potrebbero risultare codocenze imposte sulla totalità delle ore. Si tratta di un intervento drastico che potrebbe snaturare la professione.

Secondo alcuni docenti, un Team-Teaching potrebbe funzionare per il tedesco, ma in una modalità simile a quella in cui viene attuato in inglese.

2. SULL’ORGANIZZAZIONE INTERNA E LA PIANIFICAZIONE

La maggior parte delle prese di posizione concorda nel dire che la collaborazione fra docenti è stimolante e ha dei risvolti positivi se è coordinata ed avviene con un collega che si conosce. In questo caso lavorare in due può essere arricchente per i due docenti, così come per la classe. È anche vero che, tuttavia, l’imposizione di più UD in co-docenza fa sì che non necessariamente vi sia sintonia con il collega con cui si lavora. Un ulteriore rischio è dato dal fatto che non ci sono linee guida definite e chiare per tutte le sedi. La sintonia fra docenti è importante: in questo caso la co-docenza permetterebbe di condividere la gestione di situazioni difficili, di creare gruppi di lavoro in base alle esigenze della classe e di dare spiegazioni in stili differenti. Per assicurare ciò, però, bisogna che l’abbinamento dei docenti non sia casuale, ma vada fatto puntando ad avere il massimo risultato dalla collaborazione[4].

Anche in una sede dove vi è sintonia all’interno del gruppo di materia e i colleghi siano aperti verso la collaborazione e il lavoro di squadra, potrebbero sorgere dei problemi. Prima o dopo tutti si ritroverebbero a lavorare con un collega nuovo e sarebbe necessario un periodo di assestamento con parecchie ore di coordinamento e di collaborazione.

C’è da ricordare che non tutti i docenti sono disposti a lavorare in due: la collaborazione imposta potrebbe limitare quei docenti comunque competenti e professionali che però per indole sono individualisti.

Se la collaborazione volontaria fra docenti permette di mantenere l’autonomia didattica del singolo, conformemente all’art. 46 della Legge sulla Scuola[5], al contrario la co-docenza imposta mette dei vincoli e obbliga a coordinarsi costantemente tutto l’anno.

Il modello proposto richiede una forte necessità di adattamento: gli abbinamenti fra colleghi rischiano di cambiare di anno in anno. La stretta interazione quotidiana e sistematica potrebbe far sorgere difficoltà e situazioni di conflitto fra i docenti nelle suddivisioni dei compiti, nella progettazione e organizzazione delle attività didattiche, nella gestione della classe e nella valutazione.

Inoltre, l’accresciuto numero di docenti che la riforma richiede porterà una maggior presenza di personale con incarico limitato che cambiano sede di anno in anno, a seconda dei bisogni. Essi ogni volta dovranno affiancarsi ad un nuovo docente e sarà necessario adeguarsi ogni anno. Lavorare con uno sconosciuto è difficile, se non imprevedibile. Per ovviare ad una mancanza di sintonia fra docenti si potrebbe ricorrere a diversi compromessi. Si potrebbe anche decidere di lavorare in aule diverse con due gruppi separati, ricreando la divisione in livelli.

Con l’andare del tempo potrebbe esserci il rischio che non solo il rapporto fra i due docenti, ma tutto l’ambiente lavorativo risenta della collaborazione imposta e delle sue conseguenze. Ad esempio, alcuni docenti di matematica potrebbero sentirsi a disagio a lavorare in co-docenza e sarebbero indotti a richiedere di insegnare unicamente nel primo biennio, rendendo più rigido il meccanismo di attribuzione delle classi e creando una divisione all’interno del gruppo di materia fra docenti disposti ad insegnare nel secondo biennio e docenti che non sono inclini alla co-docenza.

Non sono da sottovalutare, inoltre, le questioni burocratico-organizzative. La co-docenza impone degli ulteriori vincoli alla pianificazione dell’orario dei docenti, con problemi relativi alla gestione degli orari di insegnanti che lavorano su più sedi. Mancano inoltre delle linee guida chiare sulla suddivisione delle ore di co-docenza a classe intera: c’è il rischio di differenze fra sedi nell’applicazione e nella flessibilità, con sedi in cui la maggior parte dell’insegnamento verrebbe fatto con due docenti in aula e la classe intera e sedi in cui vi sarebbero molte ore a gruppi divisi in aule separate. C’è il rischio di finire per impiegare delle risorse in modo poco efficace per parecchie ore alla settimana (due docenti per una classe).

3. SULL’ONERE DI LAVORO DEI DOCENTI

L’introduzione della co-docenza (senza nessuna sperimentazione adeguata e senza linee guida precise) porta con sé una serie di fattori che aumentano l’onere lavorativo del docente. Pensiamo innanzitutto alla programmazione: uno stesso docente dovrebbe trovare il tempo e lo spazio per programmare insieme a uno o più colleghi, a dipendenza del numero di classi in co-docenza che gli vengono assegnate[6]. Verosimilmente sarà necessario pianificare sia la programmazione annuale, sia le singole lezioni, discutendo ogni volta modalità e contenuto, processo che invece è automatico se la lezione viene svolta dal singolo. Anche un docente che avesse due classi del medesimo anno finirebbe per preparare materiali diversi qualora fosse abbinato a due diversi colleghi. Bisognerebbe concertare la preparazione di verifiche, la correzione, la valutazione, la stesura dei giudizi e la nota finale. In particolare, dal documento non risulta chiaro un elemento importante: come arrivare alla valutazione? Bisogna correggere le verifiche in due? Entrambi i docenti sono ugualmente coinvolti nella stesura dei rapporti scolastici e nell’assegnazione della nota finale?

Se la pianificazione delle singole lezioni deve tenere conto delle esigenze e delle personalità dei singoli insegnanti, allora bisogna mettere a disposizione del docente il tempo in più che gli è necessario. È imprescindibile che si parli di sgravi, ma nei documenti non vi si fa riferimento. Non solo: i docenti hanno orari di lavoro diversi ed esigenze familiari, di conseguenza sarebbe lecito chiedere che i momenti per la preparazione e lo scambio di idee venissero inseriti nell’orario scolastico, per permettere agli insegnanti di conciliare vita privata e lavoro.

L’introduzione della co-docenza così come è descritta nel comunicato del 5 settembre rappresenta qualcosa di nuovo non solo all’interno del sistema scolastico ticinese, ma anche a livello internazionale[7]. I docenti che si trovano a lavorare in questa modalità vanno formati e accompagnati e necessitano di consulenza e sostegno. I docenti di materia sono ben consci che per sviluppare competenze collaborative e organizzative si necessita di tempo. Anche quando gli abbinamenti sono realizzati fra docenti in sintonia, questi devono essere preparati e formati specificamente per lavorare in co-docenza.

Questa modalità lavorativa viene introdotta perché presenta delle “potenzialità”. Per svilupparle, durante i primi anni è fondamentale un accompagnamento da parte di persone competenti, anche per evitare e gestire situazioni di conflitto. È importante che la formazione dei docenti vada fatta prima di procedere all’implementazione: in mancanza di una formazione ad hoc si rischierebbe di ripiegare su lezioni improvvisate o semi-improvvisate, o semplicemente si opterebbe per lezioni suddivise tra due titolari.

Un’ultima annotazione sindacale: nel caso in cui un docente fosse titolare e l’altro aiutante, il primo potrebbe presentare un sovraccarico di lavoro a parità di stipendio.

4. SUL RAPPORTO CON GLI ALLIEVI

L’introduzione della co-docenza per “seguire da vicino tutti gli allievi” rischia di non essere proficua come si vuol credere. La presenza di due docenti non garantisce necessariamente un miglioramento della qualità di insegnamento, anzi, la compresenza di due figure di riferimento nella stessa aula con una classe al completo potrebbe causare confusione. Due docenti hanno diversi modi di spiegare e diversi metodi di insegnamento, così come hanno diversi approcci pedagogici e didattici. Per la classe potrebbe risultare difficile adeguarsi. Ad esempio, in matematica l’uso di stile e registro simbolico cambia, di conseguenza i ragazzi, confrontati ora con l’uno, ora con l’altro, potrebbero essere spiazzati.

È giusto anche che, nei confronti della classe, i ruoli dei docenti siano ben definiti e l’organizzazione dell’insegnamento sia ben chiara. Alcuni gruppi di materia ritengono auspicabile che uno dei docenti sia quello titolare, che funga da riferimento per la classe, le famiglie e il docente di classe. Qualora invece si opti per una co-docenza a parità di livello, c’è sempre il rischio che si crei (anche involontariamente) una dinamica per cui uno dei docenti venga identificato come “titolare” e l’altro come “assistente”. Se una classe si rapportasse meglio con uno dei due docenti rispetto all’altro, ne potrebbero conseguire difficoltà di gestione. E sulla gestione in sé, c’è anche il caso dei problemi disciplinari: nel caso si presentassero, chi dei due interverrebbe? L’altro docente sarebbe identificato come debole? Potrebbe perdere autorevolezza?

Non è nemmeno chiaro come deve essere condotta la lezione in questa modalità. Uno dei due docenti si occupa della conduzione e l’altro fa da assistente? In alcuni casi i docenti rischierebbero di dover impiegare energie e tempo per cercare di accordarsi col collega, a scapito del lavoro in favore degli allievi.

Non bisogna dimenticare, inoltre, che ai due docenti in aula potrebbe aggiungersi una figura di appoggio, come ad esempio un OPI che segue un singolo allievo, creando ulteriore confusione.

Lo stile di insegnamento di un docente determina il rapporto con la classe ed è alla base dell’insegnamento stesso. In una lezione fatta con questa modalità, bisogna automaticamente adattare il proprio modo di rapportarsi con la classe e con la disciplina. La metodologia didattica e pedagogica di ciascun docente è propria del singolo ed è spesso frutto di molti anni di lavoro e fatica. Il fatto di dover cambiare il proprio modus operandi potrebbe essere un disincentivo sia per i colleghi attualmente impiegati, sia per i futuri docenti.

5. SUL RAPPORTO CON LE FAMIGLIE

Avere una figura di riferimento diventa a maggior ragione più importante quando si parla di gestione del rapporto con le famiglie. È necessaria una linea chiara per la gestione dei colloqui con i genitori. Spesso organizzare un colloquio con le famiglie è difficile per questioni di corrispondenza degli orari. Concordare un momento tra almeno due docenti e le famiglie rischia di diventare oneroso dal punto di vista dell’investimento in termini di tempo.

6. SUL PROGRAMMA

Curiosamente, né nel comunicato stampa, né nel messaggio 2805 del 26 ottobre 2022, si fa alcuna menzione dei programmi da seguire in questa nuova modalità. È una questione da affrontare con urgenza, dato che al momento i corsi base e attitudinali differiscono, sia per quanto riguarda i contenuti, gli obiettivi e le competenze. La definizione di tutte queste componenti indispensabili rappresenta sicuramente un problema a cui non si può trovare una soluzione rapida. Non è chiaro, ad esempio, a chi spetti di fornire una programmazione che accontenti tutti gli attori.

Per lavorare in linea con quanto richiesto dagli esperti di materia, è dunque necessario ricevere indicazioni ufficiali, dettagliate e complete. Il documento con tali indicazioni va preparato da persone competenti e deve pervenire ai docenti di materia con ampio margine rispetto all’inizio dell’eventuale entrata in vigore della proposta. È necessaria una ridefinizione delle competenze e degli obiettivi disciplinari, ma nel progetto non c’è chiarezza al riguardo, e neppure si fa menzione dei contenuti disciplinari.

Gli obiettivi

Nella stesura dei nuovi programmi, bisogna tenere conto che la programmazione diversificata dei corsi A e B era stata immaginata per garantire un insegnamento efficace agli allievi con attitudine, dando modo agli altri di avere un corso più calibrato sulle loro esigenze. Per questo motivo le competenze da raggiungere in matematica sono diverse fra loro, soprattutto in quarta: il divario fra gli obiettivi per gli allievi forti e quelli per allievi deboli si allarga esponenzialmente sull’arco dei quattro anni. Venendo meno la differenziazione, cambiano completamente anche gli obiettivi. Si può supporre che questi non corrispondano a quelli dell’attuale corso base o di quello attitudinale, ma che vadano ridefiniti in base ai contenuti che si vorranno trattare. All’interno di un programma unico andrebbero, per esempio, definiti gli obiettivi per gli allievi deboli.

La soluzione, stando al comunicato stampa, sarebbe quella di applicare una “efficace ed efficiente didattica differenziata”, ma non viene in che cosa essa consista. Senza una linea comune a tutte le scuole, proprio perché il progetto così presentato risulta monco, vago e fumoso, si rischia che la diversificazione degli obiettivi faccia sì che l’uniformità didattica venga meno.

Le competenze

La programmazione deve tenere conto del passaggio al medio-superiore e questo è un fattore ritenuto molto importante soprattutto in matematica, materia che deve obbligatoriamente essere portata avanti fino alla maturità.

Diversi gruppi di materia, specialmente per quanto riguarda la matematica, prevedono due conseguenze dell’introduzione della riforma per quanto riguarda le competenze, qualora si mantenessero, per garantire un passaggio armonico al medio superiore, i contenuti del corso attitudinale:

a) Per evitare l’elevato numero di insufficienze verrebbero abbassati i traguardi di competenza attualmente previsti per il corso attitudinale; In questo modo si rischia però di creare una situazione illusoria in cui un ragazzo ha poche insufficienze, ma è comunque scolasticamente debole.

b) Gli attuali traguardi di insegnamento verrebbero mantenuti, con aumento del numero di insufficienze. Questo si ripercuoterebbe sulla media finale degli allievi che si ritroverebbero svantaggiati nella scelta del percorso post-obbligatorio.

I contenuti

Anche per quanto riguarda i contenuti, si ipotizzano due scenari opposti. Una parte dei docenti che sono intervenuti esprimono la paura di un livellamento verso il basso per la parte di programma attualmente trattata nel corso A e propedeutica all’accesso al medio-superiore. Non tutti gli allievi sono in grado di seguire adeguatamente il programma attuale del corso A. Di conseguenza, si pensa che bisognerà ridurre la quantità degli argomenti trattati, rendendo difficile, se non impossibile, garantire una preparazione adeguata a chi affronterà il liceo o la scuola cantonale di commercio. D’altro canto, gli stessi docenti esprimono il timore di non poter più riuscire a fornire il giusto supporto agli allievi più fragili, che necessitano di più tempo per assimilare i contenuti disciplinari.

L’adeguamento dei contenuti implica anche una revisione dei materiali didattici: in particolare, sempre per quanto riguarda la matematica, mancherebbero materiali didattici che sopperiscano alla divisione disciplinare e che possano adattarsi al nuovo paradigma: l’attuale libro di testo, infatti, non è adatto per le competenze che raggiungono al momento gli allievi del corso base. È necessario preparare nuove attività e materiali didattici e rivedere le pianificazioni annuali, scorporando, dove necessario, gli argomenti.

Le preoccupazioni dei docenti di tedesco sono generalmente legate alla reperibilità di materiale che consenta una differenziazione anche a classe riunita. Ci si chiede se, una volta imposta l’implementazione, saranno gli insegnanti stessi a dover creare i materiali con investimento di impegno ed energie, o se qualcun altro si occuperà di mettere a disposizione materiali, strumenti ed esempi di attività da applicare con questa modalità.

Un’altra problematica messa in luce dai docenti di tedesco è la differenziazione della programmazione in classe. I docenti di lingua sarebbero confrontati con due tipi di bisogni in classe: stimolare gli allievi a potenziale cognitivo medio-alto e seguire attentamente gli allievi più deboli, sostenendoli nell’apprendimento. Alcuni docenti temono che anche lavorando in due sarebbe impossibile differenziare adeguatamente[8].

Inoltre, riproporre nella medesima classe una differenziazione di questo genere rischierebbe di ricreare le dinamiche della suddivisione in livelli (un allievo sarebbe cosciente di essere stato assegnato ad un determinato gruppo), senza dare l’attenzione adeguata a coloro che presentano attitudine. L’unica soluzione per poter seguire adeguatamente gli allievi più in difficoltà sarebbe quella di ridurre gli approfondimenti con i compagni più ferrati nelle lingue e, come nel caso della matematica, non avere sempre allievi adeguatamente preparati per le scuole medie superiori.

7. SULLA VALUTAZIONE UNICA

Un altro aspetto distintivo del modello proposto è l’unicità della valutazione. Si prevede infatti che leallieve e gli allievi ricevano un’unica valutazione sommativa (giudizio di fine periodo) o certificativa (nota finale). I due docenti devono pertanto condividere e concordare la valutazione delle competenze dei loro allievi. Questa modalità valutativa contribuisce a favorire l’equità di giudizio e l’accettazione da parte degli allievi e delle loro famiglie della valutazione assegnata. Attraverso la valutazione unica i ragazzi e le ragazze all’uscita della scuola media non saranno più ‘etichettati’ in base alla frequenza o meno dei corsi attitudinali di matematica o tedesco e anche in questo caso non potrà che beneficiarne la transizione al postobbligo.” (Comunicato stampa del 5 settembre 2022)

Il criterio che vede le preoccupazioni più grandi è quello della valutazione. Esso è ritenuto di fondamentale importanza dalla maggior parte dei docenti che sono intervenuti nel dibattito, ma nel comunicato stampa del DECS si parla genericamente di “Valutazione sommativa e certificativa per tutti gli allievi” senza approfondire la tematica.

Stiamo parlando delle due materie che più di ogni altra in seconda media registrano forti percentuali di insufficienze. Togliere i livelli potrebbe rischiare di riprodurre lo stesso meccanismo. Alcuni allievi di terza e quarta media ora riescono a raggiungere la sufficienza perché seguono il corso base, mentre con una certificazione unica il rischio di avere due voti insufficienti sarebbe molto alto.

Anche abbassando gli obiettivi minimi e differenziando per competenze, si richiede ai docenti di applicare la medesima valutazione per tutti gli allievi. È necessario avere delle indicazioni in modo da avere una valutazione unica a livello cantonale. La sensazione di incertezza all’interno del corpo docenti è anche data dal fatto che non si sa come e su che basi andranno rivisti i traguardi di competenza, né chi si occuperà di stabilirli. Ma anche una volta stabiliti, se si è differenziato nella programmazione, come si può far figurare ciò nella valutazione, gratificando gli allievi che hanno approfondito maggiormente e mettendone in risalto l’impegno, senza tuttavia diminuire l’autostima negli allievi più deboli.

La valutazione è subordinata alla revisione dei traguardi di competenza, come visto poc’anzi. La preoccupazione, anche in questo caso è che, se dovessero essere mantenuti i traguardi di competenze previsti dal corso A, sarebbe auspicabile ripensare la valutazione in funzione del maggior numero di insufficienze che si avrebbero in terza e quarta media. Un numero elevato di insufficienze sulla pagella finale, oltre che a causare frustrazione nell’allievo, metterebbe a rischio la licenza e pregiudicherebbe l’inserimento nel settore post-obbligatorio.

Alcuni docenti propongono di reintrodurre la nota 3,5 alla fine dell’anno affinché le insufficienze non vadano a pesare troppo sulla media, penalizzando gli allievi che presentano più insufficienze.

Al di là del programma, un’incognita che causa grandi perplessità è la valutazione unica fatta su materiali differenziati. Se per andare incontro ai bisogni dell’allievo la programmazione e i materiali vengono differenziati, le verifiche sommative dovranno essere differenziate anch’esse? In questo caso, come fare ad uniformare la valutazione all’interno della classe? Se invece le verifiche sono uguali per tutti, bisogna omettere dalla valutazione la parte di approfondimento svolta solo da una parte della classe? Non andrebbe valorizzata anch’essa?

La questione è certamente da affrontare: più grande è il lavoro di differenziazione che si è chiamati a fare, più sarà difficile esprimerlo sotto forma di voto unico numerico. Alcuni docenti potrebbero ricorrere il meno possibile alla differenziazione, proprio per non sentirsi ingiusti al momento di valutare. È fondamentale che vi sia una linea comune in tutto il Cantone e che i criteri siano definiti in modo chiaro ed univoco[9].

Introducendo la riforma nel 2023, i criteri di valutazione dovranno adeguarsi a quanto richiesto dal nuovo piano di studi. Dover applicare nuovi criteri di valutazione in un contesto nuovo creerebbe problemi anche ai docenti esperti, che oltre a doversi abituare ad utilizzare i nuovi criteri di valutazione, saranno anche confrontati con una nuova modalità di insegnamento.

La valutazione in co-docenza è un altro fattore che appesantisce l’onere lavorativo dei docenti. Questa modalità di valutare, nella presentazione del modello, si giustifica con l’affermazione che la valutazione di due docenti è più equa e accettata. Molti docenti si sono sentiti indignati nel leggere queste parole. Si trasmette il messaggio che un docente da solo non è equo e si svilisce la formazione, il lavoro, l’esperienza e il giudizio di tutti gli insegnanti: la personalità del docente dovrebbe già essere garanzia sufficiente della valutazione.

8. SUL FABBISOGNO DI DOCENTI FORMATI

In merito alla disponibilità di docenti e ad una loro adeguata formazione, si ricorda che negli scorsi anni, in collaborazione con il Dipartimento formazione e apprendimento (DFA) della SUPSI, sono state attivate misure straordinarie per porre rimedio alla parziale mancanza di docenti di tedesco e matematica. Avendo dato riscontri positivi, è già previsto che queste ultime proseguano anche nei prossimi anni. Oltre a questo, nello specifico del progetto qui in esame saranno previste delle apposite formazioni in modo da fornire docenti gli strumenti per svolgere in maniera ottimale la co-docenza e la differenziazione pedagogica all’interno delle classi.” (Messaggio 8205 del 26 ottobre 2022)

Il fabbisogno dei docenti e la necessità di formarli sono questioni importanti su cui non ci si sofferma abbastanza. In particolare, all’interno del mondo della scuola ci si chiede in che modo il DECS pensi di reperire docenti adeguatamente formati. La mancanza di docenti di tedesco e matematica è un problema che da anni il DECS cerca di ignorare o di sminuire. All’interno delle sedi il problema risulta evidente e innegabile[10]. Se già adesso la situazione è preoccupante[11], con la nuova proposta il problema si acuirebbe.

Con un’introduzione repentina e affrettata di questo modello, si rischia di avere un massiccio intervento di assunzioni immediate che avrebbe ricadute negative se venissero assunti docenti non preparati.

La questione è di fondamentale importanza: una scarsa disponibilità di personale adeguatamente formato può causare una diminuzione della qualità dell’insegnamento. Da una parte i docenti rischiano di non essere idonei, dall’altra la formazione del DFA non potrà colmare le lacune presentate da chi non ha una formazione specifica in una data materia. Confrontandosi con un collega senza preparazione, molti docenti attualmente in carica potrebbero trovarsi a fare da formatori non preparati e non riconosciuti, ruolo che rivestirebbero regolarmente se il collega nuovo è anche quello con cui si trovano a condividere la co-docenza.

Quanto ai numeri forniti dal DECS, il fabbisogno potrebbe risultare maggiore di quanto emerge dai calcoli del Dipartimento: a causa dei tagli alla cassa pensioni, alcuni dei docenti più anziani, e dunque con maggiore esperienza, potrebbero optare per il pensionamento anticipato; altri docenti non nascondono l’intenzione, qualora fosse ridotta la loro autonomia didattica, di andare in pensione prima.

I nuovi assunti entrerebbero con un incarico limitato e, verosimilmente, lo manterrebbero per diversi anni, venendo spostati di sede in sede, di anno in anno: verrebbero allora a cadere la continuità didattica e la qualità dell’insegnamento, i docenti esperti si ritroverebbero a lavorare regolarmente con colleghi neoassunti e privi di esperienza, per quanto dotati e volenterosi. Cosa succederebbe ai docenti appena abilitati nell’ipotetico caso in cui ci si rendesse conto che la nuova proposta non fosse efficace e non ci fossero più ore per loro?

La mancanza di docenti va colmata in modo serio e strutturato sull’arco di più anni. Se non si risolverà questo problema prima di procedere all’implementazione si rischia di avere docenti oberati di lavoro, o ancora sedi in cui vengano assegnate le classi intere ad un solo docente.

9. SUL LAVORO A GRUPPI RIDOTTI

Il modello prevede delle UD a gruppi ridotti. Questi momenti, decisi dai due docenti in relazione alpercorso didattico sino a quel momento svolto, permettono di lavorare con piccoli gruppi di allieve/i, consolidando o approfondendo i traguardi di competenze di singoli allievi o gruppi. Va sottolineato che “almeno 1 UD settimanale” significa che se ne possono immaginare anche di più, oppure immaginare di gestirle in maniera flessibile, per esempio 1 UD per un periodo dell’anno scolastico, 2 UD per un altro ecc. Oltre a questa opportunità di lavorare con gruppi più o meno eterogenei, i docenti possono offrire alla classe delle UD con percorsi laboratoriali a scelta per gruppi d’interesse. Gli allievi hanno così la possibilità di maturare o consolidare le loro attitudini e, come già evidenziato precedentemente, scegliere il percorso post obbligatorio con maggior consapevolezza.” (Comunicato stampa, 5 settembre 2022)

L’aspetto del lavoro a gruppi ridotti è un’altra questione che il documento non approfondisce. È un peccato, dato che è proprio da qui che si potrebbe partire per ripensare un superamento dei livelli, almeno per quanto riguarda il tedesco. È dai docenti di questa materia che proviene la richiesta di dare maggior risalto a questa parte della proposta: una modalità laboratoriale in tedesco che desse continuità a quanto effettuato in seconda sarebbe auspicabile, dato che favorisce l’orale; in alternativa sarebbe anche proponibile lavorare con una classe ad effettivi ridotti, come già avviene per l’inglese.

Per quanto riguarda la matematica, un docente ritiene che un proseguimento in terza dei laboratori di prima e seconda andrebbe rivalutato. Una sede che da diversi anni lavora con la modalità laboratoriale in terza sia per quanto riguarda il tedesco che la matematica riporta la positività della propria esperienza. Un problema che si pone già nei laboratori di matematica di prima e seconda è che l’introduzione di momenti ad effettivo ridotto rischierebbe di creare una cesura col programma, che presuppone continuità.

La divisione in gruppi ad effettivo ridotto avrebbe maggiore senso, ritengono alcuni insegnanti, se entrambi fossero seguiti dallo stesso docente.

La questione dei percorsi laboratoriali a scelta rischia di riprodurre la divisione fra allievi forti e allievi deboli. In quarta i due docenti potrebbero trovarsi a lavorare in due gruppi a due velocità, riproponendo la divisione in livelli. Se la selezione del percorso laboratoriale sarà effettuata dagli adolescenti stessi, essi potrebbero essere influenzati nella loro scelta più dagli amici che non dalla necessità o dall’interesse per l’argomento, o ancora, dall’opportunità: vi saranno allievi con buone capacità che sceglieranno i percorsi accessibili con meno sforzo. Parimenti, vi potrebbero essere anche allievi deboli che vorranno affrontare percorsi non alla loro portata.

La modalità laboratoriale, per essere efficace, deve essere applicata per almeno due UD. Questo pone però il problema degli spazi, su cui torneremo più sotto.

Come le precedenti, questa parte della proposta si distingue per la sua approssimazione anche per quanto riguarda l’applicazione: “almeno 1 UD settimanale” significa che le ore da destinare ai gruppi ridotti cambierebbero da istituto a istituto, ma anche sull’arco di un semestre, causando problemi nella gestione degli orari e delle aule.

10. SULLA NECESSITÀ DI SPAZI

“Dal profilo logistico non si segnalano problemi nel reperire spazi utili ad implementare il modello dei direttori, siccome già il sistema attuale prevede la separazione degli allievi in corsi attitudinali e base. Nell’anno scolastico 2021/2022, a fronte di 160 sezioni di III erano infatti attivi 219 gruppi di matematica e 214 di tedesco, mentre a fronte di 154 sezioni di IV erano attivi 208 gruppi di matematica e 204 di tedesco. Le scuole hanno già a disposizione degli spazi scolastici utilizzati dai gruppi di matematica e tedesco, che come visto sono in numero maggiore rispetto al numero di sezioni di III e IV.” (Messaggio 8205 del 26 ottobre 2022)

Nonostante la necessità di spazi non sia ritenuta un grave problema dal DECS, si tratta cionondimeno di una questione importante per cui bisogna definire delle soluzioni prima di procedere all’implementazione di un progetto che richiede 1) più aule per le lezioni a gruppi ridotti e 2) spazi di incontro per i docenti che devono pianificare assieme.

Gestendo le lezioni in co-docenza, in alcuni casi bisognerà lavorare in due aule separate. Raddoppiando il numero dei docenti di materia, andrebbe raddoppiato il numero delle aule per le classi terza e quarta. Questi spazi, anche se non utilizzati regolarmente, andrebbero garantiti: senza questa sicurezza i docenti dovrebbero rivedere l’organizzazione del loro programma (ad esempio, per quanto riguarda il tedesco, rinunciando all’allenamento dell’orale).

Se al momento i gruppi A e B vengono mescolati anche per classe, con due aule in cui vengono suddivisi gli allievi di tre classi, una divisione in co-docenza presuppone che per due classi siano necessarie quattro aule, e non tre. Ciò significherebbe che per 160 sezioni di terza bisognerebbe avere a disposizione 320 aule per materia e per 154 sezioni di quarta bisognerebbe averne 308.

Prima di implementare il modello proposto, bisogna risolvere il problema, soprattutto in quelle sedi che già ora lamentano carenza di spazi[12]. Come si è pensato di intervenire? Anche in questo caso il DECS non approfondisce.

11. SUL BENESSERE DEGLI ALLIEVI

Al di là delle buone intenzioni della proposta, un’implementazione affrettata rischia di fare più danni al benessere dei ragazzi.

Gli allievi attualmente al corso base si trovano a poter imparare in un ambiente dove possono mostrare senza nessun timore le proprie fragilità e vengono aiutati a superarle. È più facile per loro ricevere una gratificazione per il loro impegno e di conseguenza spesso sviluppano un senso di autoefficacia e riescono a provare piacere nell’apprendimento di una materia. Questi sono allievi che nei primi due anni di scuola media hanno vissuto un rapporto difficile con la matematica o con il tedesco, magari terminando con un’insufficienza la seconda.

La presenza di due docenti in classe non cambierebbe il fatto che alcuni allievi necessitano di più tempo per apprendere. Il confronto continuo con i compagni più forti potrebbe creare disagio nei ragazzi in difficoltà, che andrebbero incontro a insuccessi e senza riuscire ad acquisire l’autostima necessaria per proseguire con fiducia il loro percorso scolastico o professionale.

Anche in una classe ad effettivi ridotti non tutti riescono a raggiungere gli obiettivi, chi non ce la fa resta demotivato, chi è interessato non si sente stimolato. In questo caso i docenti si troverebbero in difficoltà a motivare quegli allievi che attualmente sarebbero inseriti in un corso base. C’è il rischio di vedere un aumento del senso di sfiducia nelle proprie possibilità e una scarsa gratificazione dell’impegno.

Anche nella proposta dei laboratori opzionali, se essi venissero suddivisi differenziando i gli argomenti in base alle capacità, si riprodurrebbero le differenze dei livelli: i ragazzi sarebbero coscienti di appartenere al gruppo “debole”.

Al di là della gestione delle diverse personalità degli allievi, all’interno del gruppo classe c’è il rischio che davanti a due docenti vi sia disorientamento.

Qualora non vi fosse armonia fra due docenti, la classe se ne accorgerebbe e i ragazzi ne risentirebbero.

È necessario che la proposta venga formulata in modo più chiaro, altrimenti chi si ritroverà al centro di questo esperimento affrettato e mal partorito saranno gli allievi stessi.

12. SUL BENESSERE DEI DOCENTI

… garantire ai docenti lo spazio per esercitare una differenziazione pedagogica in sostituzione della differenziazione strutturale… (Messaggio 8205 del 26 ottobre 2022)

La co-docenza è una modalità che da qualche anno è sperimentata in diverse parti del mondo. Gli studi sulla sua efficacia sono recenti ed ancora in corso. Generalmente, però, si tratta di co-docenza fra docente di materia e docente di appoggio (sostegno, OPI, scuola speciale, alloglotti). La modalità suggerita dal DECS è diversa, inoltre sarebbe imposta dall’alto su larga scala.

Una delle variabili più importanti per la riuscita della co-docenza è la volontà di collaborazione fra docenti e dunque, per poter assicurare una buona riuscita di questo approccio, non si può esulare dal benessere dei docenti stessi.

Innanzitutto, bisogna ricordare che molti dei docenti che hanno scelto questo lavoro apprezzano anche l’autonomia che esso consente. Se anche questo aspetto venisse a cadere, la professione perderebbe di attrattività per molti di essi. Il mestiere di docente perderebbe di attrattività perché non sarebbe più garantita la libertà didattica. Inoltre, se si pensa alla relazione personale e unica che un insegnante instaura con il proprio gruppo classe, questa sarebbe un’altra caratteristica importante del mestiere di docente che andrebbe a perdersi.

Nella proposta dei direttori, poco o nulla si dice del benessere dei docenti, che verrebbe messo a dura prova dall’imposizione avventata di questa nuova modalità.

Le diversità di stili e vedute fra i due docenti coinvolti rischiano di compromettere la serenità sul lavoro e tutto l’ambiente lavorativo potrebbe risentire della collaborazione imposta.

È la seconda volta in due anni che si chiede ai docenti di matematica e tedesco di cambiare modalità di lavoro e gestione della classe. Si è appena cominciato a capire come rendere efficace la modalità laboratoriale e subito viene richiesto un altro sforzo per implementare un metodo di lavoro completamente diverso senza dare il tempo di formarsi.

13. SUL PASSAGGIO AL SETTORE POST-OBBLIGATORIO

“L’applicazione del modello sia alla III che alla IV media garantisce continuità al processo di apprendimento/insegnamento. L’allieva/o ha il tempo di maturare una migliore consapevolezza delle proprie attitudini e di effettuare la transizione al settore postobbligatorio con maggiore convinzione nelle proprie scelte. Si consolidano pertanto gli obiettivi del ciclo di orientamento della scuola media, dando ancor più senso e valore all’introduzione di un’ora supplementare di sgravio per la docenza di classe decisa con il rapporto della Commissione formazione e cultura sul messaggio 7704”. (comunicato stampa, 5 settembre 2022)

L’aspetto del passaggio al medio-superiore è importante, ma, come spesso negli ultimi anni, viene messo in secondo piano e trattato in modo marginale. Sebbene si voglia vedere il lato positivo di questa riforma, cioè che l’accesso al post-obbligo non dipenderebbe più dal percorso formativo durante la scuola media, non si possono non fare alcune considerazioni.

La selezione da parte del mondo del lavoro è dettata innanzitutto dalla società e non dalla frequenza di corsi scolastici. Il problema non sarà risolto togliendo i corsi A e B, perché la selezione dopo le scuole medie rimarrà, questa volta sulla base delle note e non più dei livelli. È urgente coinvolgere maggiormente il mondo del post-obbligo per evitare che ai ragazzi siano precluse opportunità sul loro futuro. Il DECS dovrebbe intervenire, impedendo criteri eccessivamente selettivi da parte di alcuni settori del post-obbligo.

Per non pregiudicare gli allievi, i docenti ridurranno gli obiettivi di apprendimento e ammorbidiranno i criteri di valutazione. Si avrà l’immagine di un sistema che funziona, dove gli allievi apprendono meglio e ci sono meno insufficienti, ma in realtà essa nasconde un abbassamento del livello di insegnamento: allievi che credevano di essere preparati si troveranno davanti a disagi nel post-obbligo.

Considerando che anche i criteri di ammissione alle scuole medie superiori si inaspriranno, bisognerà adeguare gli obiettivi disciplinari e le competenze al settore post-obbligatorio, coordinandosi con esso prima di introdurre la riforma. Un’eventuale impreparazione degli allievi che affrontano il medio-superiore porterebbe ad un ampliamento del divario fra scuola media e scuola media superiore, con conseguente aumento dell’insuccesso scolastico. Il passaggio al secondario va ripensato prima di introdurre una modifica dei corsi a livello.

14. SULLA MODALITÀ DI ELABORAZIONE E MESSA IN ATTO DEL PROGETTO

Spero che si riesca a trovare un consenso politico attorno a un passo indietro della politica sui modelli, lasciando ai tecnici, alla scuola, definire cosa preferisce per una reale sostituzione di questo sistema che va superato.” (Manuele Bertoli, Conferenza stampa, apertura dell’anno scolastico 2022-23, 23 agosto 2022)

La cosiddetta “proposta dei direttori” in realtà è condivisa da un’esigua minoranza di direttori di scuola media. Il termine è fuorviante, perché i direttori non sono stati coinvolti nella progettazione. A maggior ragione non è rappresentativa del corpo docenti, che non è stato in alcun modo coinvolto. Nemmeno i docenti di matematica e tedesco sono stati interpellati, la riforma, che si vuole proveniente dal basso, in realtà è stata calata dall’alto, senza interpellare i docenti e lasciando direttori ed esperti in posizione marginale.

Per rendere la proposta credibile il coinvolgimento del collegio dei direttori era imprescindibile, così come la trasparenza avrebbe richiesto di coinvolgere e informare i docenti di materia. Il primo documento ufficiale sul progetto è stato un comunicato stampa, rivolto cioè al mondo della scuola.

Come si sia arrivati ad optare per la modalità di insegnamento in co-docenza non è dato di sapere. Per corroborare l’introduzione della co-docenza, si citano “esperienze finora vissute”, ma non vengono riportati documenti di riferimento o studi scientifici che ne comprovino l’efficacia. Non si sa come si sono svolte le sperimentazioni che hanno portato alle (non meglio precisate) esperienze positive di cui si parla, se i docenti sono stati accoppiati a caso, o se si è trattato di un’effettiva collaborazione. Diversi docenti si chiedono che studi, riferimenti bibliografici e dati siano stati presi in considerazione per avanzare questa proposta, e in base a quali esperienze (in altri Cantoni o Nazioni) si possa affermare che questa metodologia di lavoro sia più efficace del sistema esistente[13].

La presa di posizione di un collegio ritiene comunque poco rispettoso, nei confronti delle famiglie e degli allievi, che ogni anno ci si trovi a discutere proposte diverse, creando incertezza nel futuro dei ragazzi.

15. SULL’INTRODUZIONE DELLA RIFORMA

Una decisione politica in tal senso presa nel corso del 2022 permetterebbe di avviare il
processo preparatorio che porterebbe a settembre 2023 ad introdurre il nuovo modello in
parte delle 36 sedi di scuola media e ad un’implementazione completa del nuovo sistema
in tre o quattro anni scolastici.” (Messaggio 2805 del 26 ottobre 2022)

La riforma proposta si annuncia come qualcosa di radicale: all’abolizione dei livelli sarebbe affiancata la novità della co-docenza. Nessuna delle due innovazioni è stata ancora sperimentata adeguatamente. È troppo chiedere che prima di far partire l’insegnamento in co-docenza ci si assicuri che la preparazione e la formazione dei docenti siano completate o in corso? Qui si parla di una possibile implementazione completa entro l’anno scolastico 2025-2026.

Una sperimentazione adeguata andrebbe preceduta da un lavoro di ricerca e preparazione basato su fonti pertinenti e attendibili, dovrebbe poi essere testata in sedi pilota e andrebbe seguita da un’analisi accurata e imparziale dei risultati. Al momento non si vuole nemmeno attendere una valutazione seria sull’efficacia dei laboratori nel primo biennio di scuola media, introdotti ormai da tre anni.

Per tutti i motivi già espressi in precedenza, questo è un progetto che richiede una preparazione e una mole di lavoro enorme (quanto a formazione, materiali e collaborazione). È necessario prendersi del tempo per riflettere su ognuno degli aspetti considerati prima di procedere con una sperimentazione e il tempo da gennaio a settembre non è sufficiente. È necessario che tutti i docenti di matematica e tedesco vengano tenuti al corrente dei lavori, anche coloro che non faranno direttamente parte della sperimentazione.

È fondamentale sperimentare e riflettere, ma la sperimentazione così come è proposta non ha riferimenti, strutture, obiettivi da raggiungere e modalità di feedback per valutarne l’efficacia. Una fase di sperimentazione adeguata dovrebbe durare più anni prima che si possano vedere benefici o individuare criticità.

Come già in precedenza, il DECS sembra avere molta fretta, ma le criticità da risolvere sono ancora molte e i dettagli su come si intenda mettere in pratica la riforma non sono chiari.


[1] https://movimentoscuola.ch/superamento-dei-corsi-a-e-b-nelle-scuole-medie-secondo-tentativo/

[2] Le prese di posizione dei vari collegi erano state a suo tempo raccolte e pubblicate sul nostro sito. https://movimentoscuola.ch/il-parere-dei-docenti-deve-alimentare-il-dibattito-pubblico-sulla-scuola/

[3] Il lavoro più noto al riguardo è un articolo di Lynne Cook e Marilyn Friend, “Co-teaching: guidelines for creating effective practices” apparso nella rivista “Focus on Exceptional Children” nel 1995. L’articolo verteva soprattutto sulla co-docenza in classi inclusive. In questa modalità un docente di materia collabora con un docente d’appoggio.

[4] Un gruppo di materia di una delle sedi si sofferma sulla questione in modo approfondito, evidenziando le variabili che porterebbero un abbinamento al successo e quelle che invece evidenziano problematicità. Ma questo tipo di riflessioni non dovrebbe provenire dal DECS?

[5] Art. 46 1 Al docente sono riconosciute la libertà d’insegnamento e l’autonomia didattica, nel rispetto delle leggi, delle disposizioni esecutive e dei piani di studio.

[6] I docenti a tempo pieno si ritroverebbero a dover gestire numerose co-docenze e il carico di lavoro, a questo punto non sarebbe sostenibile.

[7] Questo è uno dei motivi per cui è difficile trovare bibliografie e studi al riguardo. La maggior parte delle considerazioni e dei lavori sono stati fatti sulla co-docenza fra docente di materia e docente d’appoggio in classi inclusive.

[8] La scelta della co-docenza è presentata dal DECS come il ricorso ad un metodo ad alto potenziale. Quale sia il potenziale e con quale modalità si può raggiungerlo non viene detto. È da ricordare che il co-teaching è una modalità di lavoro relativamente nuova, che viene sperimentata in singole scuole, ma non è mai stata adottata su larga scala, come intende fare il DECS. Negli Stati Uniti, ad esempio, viene sperimentato per l’inclusione dei bambini con bisogni speciali, dunque uno dei due docenti è un docente di scuola speciale, mentre l’altro è un docente di materia.

[9] Uno dei gruppi di tedesco suggeriva di introdurre una prova unica alla fine di ogni biennio che permetta ai docenti di valutare se gli obiettivi sono stati raggiunti in modo omogeneo in tutte le classi.

[10] Lo sanno bene quei docenti che si sono ritrovati a fare da DPP ai nuovi docenti in formazione. Negli ultimi anni il livello di preparazione dei DIF in tedesco, secondo alcuni DPP, è peggiorato, anche grazie all’accesso “facilitato” alla formazione. Se ne sono accorti anche coloro che, costretti a richiedere un congedo, hanno penato non poco per trovare un supplente e poi, tornando a scuola, hanno dovuto riprendere completamente il programma. In che modo un docente che non abbia seguito una sola lezione di tedesco a livello universitario possa diventare “altamente qualificato” nel giro di tre anni, è difficilmente comprensibile.

[11] Se pensiamo che per la matematica ci sono una sessantina di IL dislocati su 36 sedi di scuola media, significa che in media almeno un docente per sede è un IL. In tedesco gli IL sono più di cinquanta.

[12] Non è inconsueto, in alcune sedi, che le aule “speciali”, ad esempio quelle di educazione visiva o di scienze, vengano utilizzate anche dagli insegnanti di altre materie.

[13] Uno dei gruppi di materia riportava l’esempio di una prova in una sede che non ha avuto un esito soddisfacente.